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Napoli, giudice di pace aiutata dalla madre sul lavoro a causa della sua invalidità

Scritto da Elisabetta Di Fraia Il . Inserito in Vac 'e Press

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Il diritto si sa, spesso è una coperta troppo corta che non riesce a racchiudere tutta la complessità della realtà circostante. E allora capita di imbattersi in continue lacune normative che hanno ricadute pregiudizievoli nella vita quotidiana di comuni cittadini costretti a subire ripetute lesioni anche dei propri diritti fondamentali. È quanto accaduto a Annamaria Reale, 68 anni, Giudice di Pace a Napoli dal 2002, negli uffici del Tribunale partenopeo preposti nell'ex Caserma Garibaldi a via Foria.

Oltre 35 anni di lavoro esercitando la giustizia civile, sia pure da giudice «non di ruolo». Migliaia di sentenze depositate, migliaia di udienze presiedute «con scrupolo e diligenza» a giudizio degli avvocati che l’hanno conosciuta. Tutto nonostante la poliomielite che l’ha colpita quando aveva solo 9 mesi e che la costringe a deambulare con estrema difficoltà e solo grazie all’aiuto di due stampelle. La dottoressa per svolgere il suo lavoro si faceva assistere dall’anziana madre che l’aiutava a trascinare un carrellino con le pratiche delle cause più delicate, quelle che la giudice si porta a casa «per studiarle con scrupolo prima di decidere». La signora, ultranovantenne aiutava la figlia anche durante le udienze quando nelle loro stanze affollate i giudici di pace devono spostarsi per prendere o depositare i fascicoli oppure recarsi in cancelleria per ritirare atti, oppure semplicemente per andare in bagno.

«Tutte operazioni che per me sono complicatissime — spiega Anna Maria — anche sollevare un fascicolo e spostarlo in un armadio mi costa fatica a causa della mia invalidità regolarmente certificata dalla legge 104».

Un connubio perfetto che aveva consentito alla dottoressa di depositare anche 100 sentenze in un mese. Eppure, a dividerle ci ha pensato un esposto anonimo depositato in Corte d’Appello il 16 aprile scorso. «Mi preme segnalare che un giudice della VII sezione, tale D.ssa AnnaMaria Reale, conduce regolarmente le udienze congiuntamente alle di Lei madre...Quest’ultima, per prassi consolidata, si è di fatto sostituita all’attività del cancelliere» concludeva l’anonimo. La dottoressa Reale finisce sul banco degli accusati e la presidenza del Tribunale la convoca per chiedere spiegazioni. Lei si difende, mostra i certificati medici e soprattutto spiega che sua madre si limita a portarle la borsa e ad aiutarla a spostare qualche fascicolo. L’esposto a suo carico viene archiviato, ma il giudice la invita «a non consentire l’accesso di estranei presso il suo ufficio durante le udienze».

Dopo l’estate, il giudice andrà in pensione, nel frattempo ha assunto una badante costretta a restare fuori dall’ufficio rendendo il lavoro quotidiano della Dottoressa Reale molto complesso, stancante ed a volte umiliante. «Ora è diventato tutto più difficile — spiega Reale — la mia attività si è rallentata tantissimo. L’altro giorno ho dovuto portare un documento in cancelleria tenendolo tra le labbra mentre camminavo con le due stampelle. Nemmeno la mia condizione di invalida è bastata a evitare questa umiliazione. Nessuno mi ha ascoltata». Nel frattempo, Annamaria confida che lo faccia il Presidente Mattarella a cui invierà una lettera aperta.

 

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