Campania segreta: Carbonara
L’antica Carbonara è attualmente un cumulo di ruderi, organizzato ottimamente come Parco Archeologico (talaltro l’ingresso è gratuito), ed è situata a pochi chilometri da Aquilonia. Dalla nuova Aquilonia, sarebbe più corretto dire, perché entrambi i nomi appartengono storicamente alla città, e si sono alternati nel corso dei secoli.
Cerchiamo di spiegare la cosa cronologicamente. Aquilonia era un’antica città sannita, sorgeva su di uno sperone di roccia, e questo le dava un’importanza strategica, ed allo stesso tempo la rendeva appetibile per i conquistatori. Fu distrutta dai Romani nel 293 a.C., per mano di Lucio Papirio Cursore. Risorse e fu nuovamente rasa al suolo durante le invasioni barbariche dell’antichità, attorno al VI secolo. Se ne hanno di nuovo notizie nel medio-evo, quando fu di nuovo ricostruita, con il nome di Carbonara.
Si potrebbe erroneamente pensare a miniere di carbone, ad una cittadina mineraria, ma deve invece il suo nome a delle rocce “scistiche”, che si trovano in contrada Sassano, nelle immediate vicinanze, che prendono fuoco, perché impregnate di petrolio, come fossero carbone. Fu nuovamente distrutta da Roberto il Guiscardo nel 1083. Ancora ricostruita, fu feudo prima dei Cotigny e dei del Balzo, poi dei Caracciolo e degli Imperiale. Aveva il suo Castello, dotato di mura fortificate e di porte d’accesso.
Oggi completamente distrutto, non se ne hanno tracce se non dall’elenco delle proprietà del suo ultimo feudatario, Giulio Imperiale, principe di Sant’Angelo, e già vi figurava come “rudere”. Le tristi sconfitte di Carbonara proseguono durante la conquista del Regno delle Due Sicilie, quando il brigante Carmine Crocco ne fece il suo baluardo, e vi intraprese una strenua resistenza contro i Savoia. Fu nuovamente rasa al suolo, ed i vincitori pretesero che si cambiasse il nome con l’antico, di sannitica memoria, di Aquilonia.
L’ultima battaglia, lo sfortunato paese la perse contro la natura. Dopo aver resistito ad innumerevoli terremoti, quello del 23 luglio 1930, di straordinariamente forza distruttrice, lo rase al suolo per l’ultima volta. Il nuovo centro abitato fu ricostruito poco più in alto.
Arrivare da Napoli non è difficile: dopo aver percorso un centinaio di chilometri sull’autostrada per Bari, si esce a Vallata, e si percorre un’interessante zona, incredibilmente affollata da pale eoliche, di straordinario impatto visivo. Si può anche proseguire per Lacedonia, ma la strada, meno impervia, non è così bella. Arrivati ad Aquilonia, si seguono le indicazioni e si arriva al Parco Archeologico. La visita ha il suo fascino, l’antico “acciottolato” è stato pulito, e le macerie sgombrate. Sono visibili solo i ruderi restati in piedi, spezzoni di mura, archi ed ornie di portoni. Qualche stemma in pietra ed antiche iscrizioni, le indicazioni mostrano cosa è rimasto dell’antico palazzo del Municipio e della chiesa. Inquietante, ma non privo di fascino.
La più bella sorpresa l’abbiamo all’ingresso dell’ultimo rettilineo che porta al Parco. Una casetta rosa ed in pietra locale, con una sbiadita insegna di legno, recita “Nuova Carbonara”. Sembra un ristorante, ma è chiuso. La fame è tanta, sono le tre di pomeriggio e siamo digiuni. Vedo però, un certo movimento all’interno. Busso alla porta a vetri, e mi viene ad aprire un signore barbuto dall’aria gioviale.
Mi conferma che sono chiusi, ma dopo aver insistito dicendo che ci saremmo accontentati anche di un panino, a quella parola storce il muso e mi dice che in una ventina di minuti ci avrebbe arrangiato qualcosa. Il qualcosa di Gerardo e la sua bella moglie tunisina, è un lauto pranzo a base di prodotti locali, annaffiato da un ottimo vino. Tutto buonissimo, condito da simpatia e coronato da un conto abbordabilissimo.
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