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Africa: problema o opportunità?

Scritto da Nestore Cerani Il . Inserito in Vac 'e Press

africa mappamondo

L’ Africa, continente immenso, ricco di risorse naturali e di gioventù diventa agli occhi di certi europei l’incubo dal quale verrebbe la minaccia totale: La sostituzione etnica.

Gli europei (salvo gli inglesi, i francesi e qualche ambiente accademico italiano) dell’Africa ignorano tutto… Voi che state leggendo sapreste indicare su una carta geografica muta la posizione della Namibia o del Mali? O dire la capitale della Nigeria o del Ghana?

Un pregiudizio corrente e radicato presenta l’Africa come un continente senza Storia. Sicuramente non la pensarono così i primi mercanti portoghesi che entrarono, intorno al’500, nel cuore dell’Africa nera., incontrando strutture statali complesse come il grande impero del Mali che occupava l’Africa centrale.

L’influenza culturale dell’Africa sulla cultura occidentale è fuori discussione. Basti pensare alle origini del jazz. Se avrete l’opportunità (Youtube permettendo) di ascoltare un canto zulu capirete da dove vengono i Platters o John Brown.
Alla fine dell’800 la scoperta dell’arte africana ha improntato su di sé l’arte moderna europea.

L’Africa ha subìto grandi violenze: La tratta degli schiavi in primis e, sul piano culturale l’invasione musulmana e l’influenza delle chiese metodiste americane, particolarmente bigotte e reazionarie. L’opera della Chiesa cattolica è stata, in parte, diversa, basata molto sull’assistenza, sulla solidarietà sociale (istruzione, sanità) e rispetto delle loro tradizioni culturali adattando ad esse la sua opera di conversione. Sentire un africano parlare come un “farmer” metodista della Bible Belt è cosa che indigna. Sentirlo vittima del “fondamentalismo” biblico desta sorpresa.

Il ”fondamentalismo” non l’hanno inventato i musulmani come credono i più. È una cultura introdotta da un sinodo delle chiese protestanti americane convocate a Niagara Falls ai primi del’900 per stabilire quali fossero i “FONDAMENTI” biblici comuni nei quali riconoscersi (Apprendo questa notizia da un articolo del cardinal Ravasi, esperto in materia). La differenza fondamentale fra metodisti e cattolici è l’atteggiamento verso la religione ancestrale :l’animismo. I primi la vedono e la trattano come una manifestazione di barbarie da eradicare, i secondi (grande è la saggezza millenaria della Chiesa cattolica) la vedono come una aspirazione al sacro che non confligge col Vangelo e che può facilitare, se rispettata, la via della conversione. Su questo tema c’è stato un grande lavoro di teologi cattolici africani per i quali l’animismo fu la religione dell’infanzia.

Nel Sinodo africano del1994 i padri sinodali affermarono:
"Come potrebbe qualcuno annunciare il Cristo su questo immenso continente se dimenticasse che è una delle regioni più povere del mondo? Come potrebbe qualcuno mancare di prendere in considerazione la storia carica di sofferenze di una terra dove numerosi Paesi sono ancora presi dalla fame, dalla guerra, dalle persecuzioni razziali, tribali, dall'instabilità politica e dalla violazione dei diritti dell'uomo?

Il lavoro dei teologi africani si esprime anche con le posizioni che riporto:
“"Animismo' è stato ed è tuttora un’etichetta peggiorativa e dispregiativa. Nel passato e nel presente ha fornito a sociologi, storici e teologi uno strumento utile per interpretare e codificare la religione del-l’altro, in questo caso quella africana. È dimostrato che questo esercizio di interpretazione e codificazione ritrae il suo referente come primitivo e pagano. Non c’è dubbio che questo approccio sia irrazionale e riduttivo. Semplifica una realtà molto complessa. Tuttavia, accettando l’etichetta 'animista', si può portare avanti un discorso e analizzare l’esperienza religiosa africana basata su un incontro diretto piuttosto che su stereotipi e pregiudizi. (da un articolo di Avvenire)

Mi interessa particolarmente esprimere un giudizio critico, ma rispettoso dei valori insiti nella religione africana, pur restando al tempo stesso fedele al Vangelo come principale depositario del messaggio cristiano. Com’è davvero essere animista? Nel rispondere a questa domanda, lo scopo principale è delineare i fondamenti di un immaginario, di una pratica e una coscienza religiosi solitamente denigrati dai seguaci delle cosiddette religioni del mondo. Emerge come fondamentale per l’intero sistema religioso in Africa una fede profonda nella vitalità del creato. In altre parole, questa tradizione rappresenta una profonda e intensa convinzione che nulla è privo di vita nel mio ambiente naturale, e che «esiste un potere invisibile insito in qualsiasi cosa in ogni momento». Trasposto nelle parole di papa Francesco nella sua enciclica Laudato si’. Sulla cura della casa comune, ciò significa che «ogni creatura ha una funzione e nessuna è superflua [...] Suolo, acqua, montagne, tutto è carezza di Dio» (n. 84).
La comunità del villaggio si riuniva all’ombra dell’albero ancestrale, chiamato ikhinmwin( Newbouldia laevis),l’albero della vita .Rinnovando un mito primigenio dell’umanità che incontriamo anche nella Bibbia. Per l’animismo difficilmente c’è qualcosa che non incute un certo grado di rispetto, e tutto ha uno scopo. L’albero ancestrale era oggetto di reverenza e contrassegnava lo spazio sacro e il luogo di culto e delle pratiche rituali per il villaggio o la fattoria. Il premio Nobel Wangari Maathai avvalora questa credenza nell’affermare che alberi come questo sono «riconosciuti dalle comunità come punti nodali che connettono il mondo celeste con quello terrestre […] luoghi dove risiedono gli antenati e/o i loro spiriti.
Questo atteggiamento di rispetto della chiesa cattolica verso la primitiva religione consente un dialogo positivo che toglie alla conversione ogni carattere di violenza culturale.

Molti europei continuano a ritenere l’Africa nera come una terra abitata da baluba con l’anello al naso. E’ invece una terra in movimento dalle grandi possibilità che acquisisce sempre più consapevolezza delle sue potenzialità Si è svolta a Dakar in questi giorni una conferenza internazionale per discutere di un piano di ammodernamento e sviluppo della portualità africana che comprende tutta il sistema portuale africano, Da Porto Said fino a Tanger med passando per tutta la cintura portuale ,Un piano finanziato con 4 miliardi di dollari ed al quale partecipano solo imprese cinesi :perché gli europei non fanno la loro parte ?Probabilmente perché mentre l’iniziativa cinese ha una direzione unica e ferma il fronte europeo è frammentato e rinchiuso nella logica aziendale e certamente un’azienda da sola ,anche se grande ,non può reggere la sfida con la Cina.

Ecco una delle grandi carenze dell’Europa, frammentata d nelle meschinità nazionalistiche e incapace di elaborare una strategia unitaria verso l’Africa che l’evolversi delle situazioni rende sempre più cogente Le crisi migratorie sono solo le scorie di questo processo disattenzione mentre l’Europa avrebbe tutto l’interesse, non solo commerciale ma politico a intervenire in Africa con voce unitaria. È un fatto che dai paesi in cui l’intervento cinese è forte non partono migrazioni.

Un problema reale dell’Africa è quello della democrazia che stenta ad affermarsi. Molti dei suoi paesi, ricchi di materie prime come la Nigeria, vivono in miseria proprio perché da cosche predatrici. Occorrerà un lungo lavoro e l’Italia potrebbe avere un suo ruolo di prestigio se affermasse negli organi europei la necessità di una politica unitaria verso l’Africa.