I micro notabili che minano il PD nel nuovo libro di Mauro Calise
C’è un qualcosa che decreta il successo o la sfortuna delle nuove proposte editoriali, soprattutto quando si tratta di saggi. Quel qualcosa è il tempismo, la caratteristica che ha sempre dimostrato, vuoi per caso, vuoi per calcolo, Mauro Calise, politologo dell’Università Federico II di Napoli, ex Presidente della Società Italiana di Scienze Politiche ed editorialista per Il Mattino, e che continua a dimostrare con la pubblicazione del suo ultimo lavoro, Fuorigioco. La sinistra contro i suoi leader, per i Tipi di Laterza.
Quando, nei primi anni Duemila, si stavano affacciando sulla scena politica italiana numerosi partiti ad “uso e consumo” dei propri leader sul modello di Forza Italia (l’IDV di Di Pietro, l’UDEUR di Mastella, l’UDC di Casini, la sempre maggiore identificazioni della Lega nel suo capo storico, Umberto Bossi), Calise diede alle stampe per le Edizioni Laterza Il partito personale, rapidamente diventato uno dei testi più influenti del dibattito politico degli ultimi anni, ripubblicato nel 2010 in un’edizione ampliata. Lo scontro tra principio collegiale e principio monocratico del comando, tra leader sempre più forti e partiti sempre più deboli emerge anche in La Terza Repubblica. Partiti contro presidenti, testo del 2006 che anticiperà la trasformazione della figura del Presidente della Repubblica da “arbitro super partes” ad attore sempre più incisivo nella vita politica del nostro Paese.
Fuorigioco, l’ultimo saggio di Calise, conclude idealmente un percorso di ricerca e riflessioni sulla personalizzazione della politica in Italia, un fenomeno tanto diffuso quanto, a sinistra, difficile da digerire. Infatti, Fuorigioco è la storia di come negli ultimi venti anni il centro-sinistra abbia cercato di combattere il virus della personalizzazione della politica, non accorgendosi che questo stava infettando non tanto i quadri nazionali (la cosiddetta "ditta", nel gergo bersaniano) ma soprattutto i micronotabili locali, come in questi giorni i casi dei congressi provinciali del PD (uno su tutti, quello di Enna, dominato dall’ambigua figura di Crisafulli) tristemente ci ricordano. Con questa chiave di lettura, il libro di Calise si presenta allo stesso tempo come la prima analisi della “non-vittoria” del PD alle elezioni dello scorso febbraio, diretta conseguenza dell’avversione del centro-sinistra alle leadership autorevoli.
Il tempismo di Calise (definito da Roberto Esposito sulle pagine de La Repubblica “uno dei pochissimi scienziati politici italiani capaci di incrociare l’attenzione alle più attuali dinamiche socio-culturali con lo sguardo lungo dello storico”), ed il conseguente accredito di Fuorigioco come interpretazione per eccellenza dei recenti travagli del PD, è comprovato dalla calorosa accoglienza della stampa di settore, testimoniata dalle numerose citazioni registrate in questi giorni sui maggiori quotidiani nazionali (ricordiamo Ilvo Diamanti, Marc Lazar, Guido Crainz, Giancarlo Bosetti e lo stesso Esposito su La Repubblica, o Antonio Polito sul Corriere della Sera).
Fuorigioco è stato presentato lo scorso martedì 19 novembre presso la libreria Feltrinelli di piazza dei Martiri. Con l’autore, erano presenti Alessandro Barbano (direttore de Il Mattino), Marco Demarco (direttore del Corriere del Mezzogiorno) e Giustino Fabrizio (direttore de La Repubblica, edizione di Napoli), moderati da Roberto Esposito (uno dei maggiori filosofi italiani, nonché anima dell’Istituto Italiano di Scienze Umane). A margine dell’evento, promosso dalle Edizioni Laterza, abbiamo incontrato il prof. Mauro Calise.
Professore, da dove viene quest’avversione della sinistra alla personalizzazione della leadership?
Quando in Italia si parla di personalizzazione della leadership, si usa spesso una connotazione negativa. E’ un retaggio del passato d’epoca fascista: la personalizzazione del potere come sinonimo di antidemocrazia. In tempi più recenti, ci si rifà all’avvento di Berlusconi e del partito personale per eccellenza, Forza Italia. In realtà, poco prima della famosa “discesa in campo”, un processo di personalizzazione della politica italiana era già in atto: penso alla riforma dell’elezione diretta dei sindaci, nata dalla crisi dei partiti della Prima Repubblica e dalla necessità di avvicinare governati e governanti. Dopo Berlusconi tutto è cambiato. La personalizzazione della politica ha imboccato la strada della privatizzazione: il partito diventa proprietà privata del leader. Da quel momento, la sinistra continua a scambiare l’autorevolezza con una certa forma di “autoritarismo”.
Nel suo ultimo saggio, Fuorigioco, lei afferma che un leader forte è il miglior antidoto alla personalizzazione dei partiti. Sembra una contraddizione in termini.
Non lo è. Vede, la personalizzazione della leadership ha il vantaggio di essere pubblica, rendicontabile. I leader delle moderne democrazie occidentali sono costantemente sotto gli occhi dei riflettori mediatici. Non è loro consentito di sbagliare un passo. E attorno a leader forti si possono costruire storie politiche di successo, come dimostra il caso dei laburisti di Blair o la CDU sotto la Merkel. Al tempo stesso, anche il più accattivante dei leader ha bisogno di una struttura alle sue spalle, ossia di un partito coeso, che lo sorregga, e che soprattutto non provi a logorarlo.
Esattamente l’opposto di quel che sembra oggi il PD.
Mentre si era intenti a combattere quella che definisco la personalizzazione macro, ossia quella del leader a livello nazionale, sui territori sono proliferati i micronotabili che, sopravvissuti alla Prima Repubblica, sono risbucati nella Seconda, minandone le strutture. Quel che nei giorni scorsi è avvenuto nei circoli PD ne è l’ennesima prova. Lo stesso leader dei leader, Berlusconi, è rimasto spesso impelagato nelle reti tessute dai suoi capi locali. I micronotabili si insinuano negli anfratti delle istituzioni, intessono reticoli e scambi, perseguendo solo il proprio interesse particolare. Risulta così che il progetto del PD non è oggi minato da un capo solitario (che non c'è!), ma da tante termiti locali.
Emerge così un’immagine molto diversa da quella della “ditta” bersaniana.
Decisamente. Non è un caso che lo stesso Renzi l’abbia definita un’immagine che non gli piace. Del resto, come potrebbe essere altrimenti? Durante la campagna elettorale Bersani ha presentato il partito come coeso verso un obiettivo, ma basta andare su Wikipedia per leggere un’altra realtà: si contano oggi nel PD ben diciannove correnti. Ribadisco: mentre a livello nazionale si difendeva l’idea del “partito ditta”, avversando l’idea di una leadership forte in favore di una leadership collegiale, nelle retrovie tanti capetti locali erodevano le fondamenta del PD. Il risultato elettorale è stata una diretta conseguenza di questi due processi, che sono, i due focus del mio saggio.
Le primarie non hanno di certo aiutato…
In questi tempi di scollamento fra rappresentati e rappresentanti, fenomeno acuito da una pessima legge elettorale, le primarie rappresentano un’importante opportunità di avvicinare i cittadini alla politica. Ma così come sono strutturate diventano uno strumento dalle due facce, dove anche in questo caso il micro si contrappone al macro. Se da un lato vi è la variabile macro, ossia la partecipazione aperta a tutti i cittadini per l’elezione di un leader (che sia un candidato sindaco, un segretario di partito o un candidato premier), l’altro lato della medaglia è la variabile micro: le primarie diventano un momento per misurare le diverse forze in campo, mosse dai notabili locali. Il risultato è che invece di una chiara affermazione di un leader forte e indiscusso, si ha un proliferare di correnti che presentano il conto al vincitore, facendo valere il proprio peso elettorale.
Professore, come se ne esce? Il futuro è davvero Renzi?
Renzi è un personaggio che sicuramente buca lo schermo, con la sua una parlantina svelta e la risposta sempre pronta, da vero fiorentino. E’ quasi sicuro, anche alla luce del risultato dei circoli, che sarà lui il prossimo segretario del PD. Resta da capire, una volta conquistato il partito, come intende governarlo. Il PD andrebbe sottoposto ad un serio quanto profondo processo di riforma, sul quale per ora il sindaco di Firenze non si è molto espresso. Dal canto mio, come sempre nella mia esperienza di studioso, non ho da offrire ricette miracolose. Posso solo suggerire di trattare la materia della personalizzazione della leadership con la dovuta attenzione, cercando di comprendere che non è un demone antidemocratico, ma la forma di governo egemone in tutte le democrazie occidentali. Prima il PD capirà che non è un tabù, e prima eviterà di bruciare altri suoi potenziali leader.
Mauro Calise
Fuorigioco. La sinistra contro i suoi leader
Edizioni Laterza, 156 pagine, 12 Euro
Disponibile su:
Per maggiori informazioni, si rimanda al sito ufficiale di Mauro Calise
Le foto della presentazione di Fuorigioco alla Feltrinelli di piazza dei Martiri di martedì 19 Novembre 2013 sono ad opera di Ilaria Merciai