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Storia dell'archeologia e dell'arte a Napoli (terza parte)

Scritto da Antonio Capotosto Il . Inserito in Port'Alba

Guglia di San Domenico

Per Napoli la prima metà del sec. XVI fu il periodo delle grandi imprese urbanistiche del viceré spagnolo don Pedro da Toledo (via Toledo). Nel secondo Cinquecento si affermò il classicismo tardo-manieristico, che dominò fino al 1620 ca. (Giovanni Antonio Dosio: certosa di San Martino, 15280-1623, e chiesa dei Gerolimini, 1592-1619; Domenico Fontana: Palazzo Reale, 1600-02; Giulio Cesare Fontana: Palazzo degli Studi, (dove vi è il Museo Archeologico Nazionale), 1586; P.A. Grimaldi: San Paolo Maggiore, 1590-1603).

Seguì la grande stagione del barocco napoletano, di cui fu protagonista il lombardo Cosimo Franzago, autore del chiostro della certosa di San Martino, della guglia di San Gennaro e della chiesa di Santa Teresa a Chiaia. Suo contemporaneo è Francesco Antonio Picchiatti (guglia di San Domenico, 1658), mentre Francesco Solimena (San Nicola della Carità), Ferdinando Sanfelice (Nunziatella) e Domenico Antonio Vaccaro (chiostro di Santa Chiara) segnarono il passaggio al rococò.

Sotto Carlo III di Borbone Napoli, tornata capitale autonoma, si arricchì di grandiosi edifici pubblici: l'Albergo dei Poveri, del Fuga (1751); la reggia di Capodimonte, di Giovanni Antonio Medrano (dal 1738); il Foro Carolino (1757) del Vanvitelli. Nel 1738 fu fondata a Napoli dallo stesso re un'arazzeria che lavorò fino al 1798, realizzando alcune serie notevoli.

La produzione fu esemplata dapprima su arazzi della fabbrica medicea (per esempio 'gli Elementi'), poi su modelli francesi, come per la serie di 'Don Chisciotti' (1758-79), composta di numerosissimi pezzi, destinata a Caserta e poi divisa tra il Quirinale e il Museo di Capodimonte. Nella 'Storia di Psiche' (1783-86) la composizione risente già del gusto neoclassico. In pittura, dopo un debole avvio manieristico, i modelli di Caravaggio (a Napoli nel 1607 e nel 1609) e dei bolognesi (Reni, Domenichino e Lanfranco nella cappella di San Gennaro in Duomo e alla certosa di San Martino) furono le premesse della fiorente scuola pittorica napoletana, destinata ad avere una lunga e feconda stagione.

Per quel che riguarda la scultura, dopo un lungo periodo di dipendenza dal manierismo fiorentino (Pietro Bernini, il Naccherino) si affermò l'eclettismo di Cosimo Fanzago. Molto più tardo (1749-66) è il celebre complesso della decorazione scultorea della cappella Sansevero, cui collaborarono Francesco Queirolo, Giuseppe Sammartino, Paolo Persico, Francesco Celebrano, Antonio Corradini. In questo clima rococò si colloca la nota produzione delle ceramiche e delle porcellane di Capodimonte.

A tale proposito va ricordato che Napoli fu un importante centro ceramico attivo fin dal sec. XIII. Notevoli furono le manifatture di maioliche fiorite nel Seicento (di P. Brandi) e nel Settecento (del Carpaccio, dei Nigritta). Tipiche della produzione la mattonelle smaltate per decorazione pavimentale, i cui temi esornativi sono ispirati alle nature morte della tradizione pittorica napoletana (chiostro di Santa Chiara). Caratteristica del Settecento napoletano è anche la produzione delle statuine del presepe.

Con la Restaurazione sorsero a Napoli notevoli architetture neoclassiche (San Francesco di Paola, di Pietro Bianchi, 1816-19; teatro San Carlo, 1816, e la villa Floridiana, 1817-19, di Antonio Niccolini), ma un nuovo periodo di intensa attività edilizia , sia pure in forme pesantemente eclettiche, si ebbe solo dopo il colera del 1884. A Napoli si registrarono inoltre, all'inizio del nuovo secolo, interessanti episodi di Liberty (Galleria Umberto I di Emanuele Rocco; albergo Santa Lucia, di  Giovan Battista Comencini), soprattutto per opera di artisti settentrionali.