Sumba: un viaggio nel tempo
Uno dei luoghi più incredibili che abbia mai visto nella mia vita, è sicuramente l’isola di Sumba. Situata nelle Nusa Tenggara, ma molto più a sud della cintura di isole, che come abbiamo già detto, vanno da Java fino all’Australia, praticamente visibili ad occhio nudo, da Singapore, fino a Timor e l’Australia.
Quest’introduzione geografica, è necessaria, perché è il motivo per cui l’isola è rimasta per secoli isolata dal resto dell’arcipelago, non essendo visibile, né raggiungibile da piccole imbarcazioni, conservando i suoi usi e costumi, praticamente intatti.
Il capoluogo è Waingapu, dove ci sono sia il porto, che l’aeroporto. A prima vista è una minuscola cittadina, dove vi sono gli unici due alberghi dell’isola, frequentati solo da sporadici viaggiatori, commercianti e mercanti di antiquariato etnico.
Eppure, Waingapu, rispetto al resto dell’isola, ci sembrerà una metropoli, quando ce la lasceremo alle spalle. La strada per l’interno di Sumba, e la parte occidentale, dove la vita è scandita da spettacolari, quanto antichi riti, anche se raramente asfaltata, è facilmente percorribile. La popolazione abita villaggi fatti di capanne dalla particolare forma dei tetti, a picco, e stupefacenti tombe megalitiche situate giusto al centro, e pratica la religione “Marapu”, un particolare tipo di animismo.
Siamo forniti di automobile, fittata da Bali, da dove arriviamo, ma nonostante io parli discretamente il Malese, da muovermi bene ovunque, abbiamo bisogno di una guida e interprete, perché da lì in poi, incontreremo gente che parla solo incomprensibili dialetti locali. La sovranità appartiene al governo centrale di Jakarta, ma l’amministrazione locale è lasciata nelle mani degli antichi “raja”, sovrani dai costumi medievali, piombati nell’epoca odierna trasportando le loro abitudini, che agli occhi di stranieri, possono apparire, provo ad azzardare un paragone non poi così lontano, come il palio di Siena, o il carnevale di Venezia, a degli Americani che non sono mai usciti dal Kansas.
Ci viene segnalato un rito che si svolgerà l’indomani in un villaggio, ma tornando nel capoluogo, ed al nostro albergo, attraversando un tratto di campagna, su strade più simili a sentieri, cadiamo sull’antico costume della “padjura”, che non è che una sfida tra due villaggi, in cui si giocano parte del raccolto ed altri privilegi stagionali, in un incontro di “lotta collettiva”. Le squadre, composte da dieci combattenti l’una, si affrontano a pugni e calci, senza regole apparenti, che in realtà ci sono, e sono garantite da due arbitri armati di coltellacci rituali, che separano i concorrenti a sferzate, quando ravvisano scorrettezze.
Si svolge tutto a mani nude, tranne una specie di spuntone di legno, e mi spiega la guida, che un tempo era di pietra, oggigiorno sostituito, perché prima poteva essere mortale, legato nel pugno, destro o sinistro è facoltativo, per dare il colpo di grazia. Quando un concorrente è dichiarato ko, viene eliminato, e la sfida riprende fino a completa eliminazione della squadra avversaria. Chi resta in piedi vince.
Molto più colorata ed affascinante è la “pasola”, sfida che si svolge a cavallo, come i nostri tornei medioevali. Ma non avendo date fisse, perché sono gli sciamani a decidere quando avrà luogo, in base a speciali divinazione, fatte osservando le interiora di particolari pesci, diventa veramente difficile riuscire ad assistere ad un incontro del genere. Qui entrano in gioco i “raja”, che premieranno i vincitori, con particolari collane chiamate “kenatar”. Questi, ed altri gioielli dell’isola, come in particolare i “mamuli”, orecchini, in oro o in bronzo, sono oggetto di studio per gli antropologi, e di ricerca per i mercanti di arte tribale, che collezionisti di tutto il mondo pagano cifre astronomiche per accaparrarseli.
Il rito “marapu” a cui assistiamo, consiste in due sciamani, dipinti di nero e ornati con ciondoli e amuleti sacri, che vengono chiamati “kudat” (cavalli), ed il loro compito è traghettare i desideri dei vivi, fino al mondo dei morti, dove le anime dei loro cari, possono intercedere, affinchè questi desideri siano soddisfatti. Ad assistere c’è l’intero villaggio, e qualche forestiero. Noi siamo gli unici stranieri.