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Campania segreta: Liternum

Scritto da Luca Murolo Il . Inserito in Port'Alba

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Quasi sconosciuto, è un altro dei siti archeologici presenti nella zona dei Campi Flegrei. Per l’esattezza nella “zona flegrea periferica”, o come la chiamavano i Romani, Silva Gallinara, Liternum era una città romana, sorta sulle rovine dell’antico insediamento Greco, poi occupato dagli Etruschi e dai Sanniti, anche se alcuni ritrovamenti risalgono addirittura al periodo eneolitico (circa III millennio a. C.). Ebbene, qui ci troviamo di fronte a due misteri, uno antico, ancora irrisolto, ed uno recentissimo, che speriamo possa avere una soluzione rapida, se non immediata.

Ampliata nel 194 a. C., per assegnare una terra ai veterani, tornati vincitori dalla II guerra punica, lo stesso generale Scipione l’Africano vi si fece costruire una villa, e qui si stabilì fino alla sua morte, avvenuta 11 anni dopo. Vennero innalzati a Liternum anche la statua a lui dedicata, ed il suo sepolcro, osservati da Seneca e descritti, poi, da Tito Livio, e quest’ultimo era adornato di una lapide marmorea, recante l’iscrizione: “Ingrata Patria nec ossa quidem mea habet”, che tradotta, suona più o meno come, Patria ingrata, non avrai nemmeno le mie ossa.

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Cosa vuol dire? Il generale si era ritirato in questi luoghi in esilio, forse vuole semplicemente significare che le sue spoglie non torneranno mai a Roma, ma dato che, due millenni dopo, la sua tomba non è mai stata rinvenuta, si apre il primo dei nostri enigmi. I primi scavi furono iniziati nel 1930, in seguito al ritrovamento di alcune lapidi, risalente alla fine del secolo precedente, ma mentre fu ritrovato il Foro, il Capitolium e la Basilica, insieme ad alcuni resti del Teatro, della villa e della tomba di Scipione non se ne videro tracce.

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Avveniva in epoca fascista, quindi per onorare comunque il grande condottiero, il 15 settembre del 1936, nelle mura cittadine, fu eretta un’ara in suo onore. Curioso è il fatto che, tutto ciò avviene in epoca praticamente contemporanea, mentre nell’VIII secolo d. C., all’oscuro dei testi storici dell’epoca romana, fu rinvenuto solo un frammento della lapide, che conteneva solo mezze parole e lettere, cioè: “a Patria nec”. Per questo motivo il lago fu chiamato “Patria”, e così la Torre e tutta la zona.

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Liternum ebbe un periodo di splendore, quando fu costruita la strada Domiziana, che collegava Sinuessa a Puteoli, e passava per la città, tagliandola in due, ed oggi è possibile vederne ancora qualche tratto del lastricato. Ritrovamenti di frammenti di vasi d’argilla incrostati di “blu egizio”, fanno supporre che l’industria del vetro fosse fiorente, come la pesca e l’agricoltura. La città non ebbe un ulteriore sviluppo, perché come racconta Valerio Massimo, erano tanti e talmente mefitici gli effluvi delle paludi, non ancora bonificate, che l’aria non era salubre e non era un luogo piacevole dove stabilirsi. La città fu distrutta nel V secolo dai Visigoti, la sede Vescovile le sopravvisse per alcuni secoli.

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Il secondo “mistero”, appartiene ai giorni nostri. Nel 2006, per interessamento del comune di Giugliano, nella cui area si trovano le rovine, e della sovrintendenza di Napoli, sono cominciati i lavori per aprire il Parco Archeologico. Al dire il vero, dopo tre anni, vide l’apertura, fu costruita una capanna di legno ancora esistente, per gli uffici, ma restò aperto al pubblico per pochissimo tempo. Nuovamente chiuso, nonostante due lapidi, una in marmo grigio ed una bianca, poste all’ingresso del sito, sulla strada regionale, che in prossimità di Marina di Patria, collega la Domiziana a Giugliano. Nuovo stanziamento di 300mila euro appena prima del “lockdown” per il Covid 19, e Liternum torna agli onori della cronaca, giusto il tempo di un paio di trafiletti su giornali locali, e poi di nuovo il dimenticatoio.

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Ci rendiamo conto che l’emergenza Coronavirus è appena finita, per cui auspichiamo che al più presto, i fondi possano essere utilizzati per mostrare nuovamente quest’altra meraviglia a visitatori nostrani e stranieri.