(Capo)Palinuro (terza parte)
Qualche decennio fa, raggiungere Palinuro non era certo un'impresa facile. L'archeologo Amedeo Maiuri scriveva nell'ottobre 1948: “A Palinuro si giunge per via mare; le sue comunicazioni sono essenzialmente marittime o con la Marina di Ascea o con la Marina di Camerota. La strada rotabile non va oltre Cèntola e dopo un cammino tortuoso va a ritrovare la nazionale a Sapri.
Da Paestum a Sapri non c'è una via litoranea che a tratti discontinui”. Oggi raggiungere Palinuro è agevole, con l'ampliamento della strada costiera che scende proprio da Paestum e tocca Agròpoli e Castellabate attraversando tutto il Cilento.
Questo fatto è stato una molla per il turismo. Il promontorio di Palinuro meritava di essere conosciuto e valorizzato per le bellezze maturali e la limpidezza cristallina del mare, ma forse la valorizzazione raggiungeva un livello allarmante. Scriveva ancora Maiuri: “Il paesino di Palinuro è disteso pienamente sul declivio che guarda la cala di nord, con una mulattiera bene pavimentata e le case tra orticelli e terrazze e giardinetti di agrumi cintati, e tutta la sella del promontorio è una selvetta di salici e di querce; un'aria di lindore e di riserbo, senza neppure pullulare di creature in mezzo alla strada...” Capo Palinuro è uno degli angoli più belli del Tirreno.
Con la sua forma a uncino rivolto a nord, tutto il promontorio costituisce un perfetto porto naturale che doveva essere molto apprezzato anche dagli antichi coloni della Magna Grecia, perché vennero scoperti i resti di un centro indigeno ellenizzato, forse dipendente dalla favolosa Sibari, scomparso cinquecento anni prima di Cristo. Tutto il materiale rinvenuto durante gli scavi venne riunito in un 'Antiquarium' costruito all'estremità del paese, sopra la spiaggia della Ficucella, chiamata così, forse, per l'abbondanza di fichi d'India che la proteggono.
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