L’ITALIA CHIAMA E L’EUROPA RISPONDE: PER NOI 209 MILIARDI, IL 28%
Un Giuseppe Conte entusiasta e soddisfatto lo annuncia all’alba: «Ora possiamo far ripartire l’Italia. Con i 209 miliardi di euro di Next Generation Ue, il 28% delle risorse del piano europeo contro la crisi provocata dalla pandemia di Covid-19, avremo una grande possibilità. Potremo cambiare il volto del nostro Paese. Ora dobbiamo correre, utilizzando questi soldi per investimenti e risorse strutturali». È stato raggiunto l’accordo sul Recovery Fund: un accordo di oltre 750 miliardi di euro. Una manovra enorme: sono stati concessi 360 miliardi di prestiti ed oltre 390 miliardi di sussidi.
L’Italia dovrà però accettare forme più intrusive di controllo nella gestione del denaro: l’uso dei fondi è sotto la lente della Commissione europea e non del Consiglio europeo. Sono quindi escluse ingerenze dirette degli Stati Europei. “Sconfitto”, in parte, il fronte dei Paesi Frugali. Tuttavia, c’è un grosso “MA”: il nuovo debito comune potrebbe, quasi sicuramente, portare all’introduzione di una “tassa europea”, in vista del rimborso del prestito. Per l’ex premier, oggi Commissario per gli affari economici e monetari europei, Paolo Gentiloni: «La Next Generation UE è la più importante decisione economica dall’introduzione dell’euro».
L’accordo arriva all’alba del quarto giorno di «un vertice lunghissimo». Conte dice «Forse abbiamo stabilito un record, superando per durata il vertice di Nizza. Siamo soddisfatti: abbiamo approvato un piano di rilancio ambizioso, che ci consentirà di affrontare questa crisi con forza ed efficacia».
Soddisfazione espressa anche dal presidente francese Emmanuel Macron: «Abbiamo adottato un massiccio piano a favore della ripresa: un prestito in comune per rispondere alla crisi in modo unito e investire nel nostro futuro. Non l’abbiamo mai fatto! La Francia ha portato incessantemente questa ambizione». La cancelliera Angela Merkel, dopo le ansie iniziali, si è detta «tranquillizzata nel vedere che l’Europa può ancora agire insieme».
Giuseppe Conte plaude «anche alle forze di opposizione. Soprattutto alcuni loro esponenti, pur tra le critiche legittime, hanno ben compreso l’importanza storica della posta in gioco».
Il Governo ne esce forte, anche se la tentazione di colpi di mano, data l’enorme cifra messa sul tavolo sarà forte. Tuttavia, il Premier è fiducioso: «Il governo italiano è forte» - forse ora più che durante l’emergenza sanitaria - «La verità è che l’approvazione di questo piano rafforza l’azione del governo italiano, perché ci permette di poter contare su ingenti risorse finanziarie per raggiungere obiettivi già individuati».
L’accordo della notte è storico: è la prima volta che l’Unione decide di avere un debito comune. Lo stesso Charles Michel, presidente del Consiglio europeo lo dichiara: l’intesa è «realmente storica». L’intesa prevede, per la prima volta, un mandato dei 27 alla Commissione europea – non al Consiglio europeo, e quindi ai singoli Stati Membri, come si temeva - di indebitarsi a loro nome per una somma “enorme”.
Tuttavia, c’è un grosso “MA”: il nuovo debito comune potrebbe, quasi sicuramente, portare all’introduzione di una “tassa europea”, in vista del suo rimborso. In quanto è bene ricordare che nella cifra concessa ai singoli Stati, di cui il 28% all’Italia, c’è una “parte importante di prestiti”.
L’Olanda di Mark Rutte, leader dei Paesi Frugali, si è dimostrata portabandiera dell’antieuropeismo più becero. Il tema, come lucidamente evidenziato da Enrico Letta su Huffpost, è come l’Olanda vuole stare in Europa. Lo scontro sul Recovery Fund è la punta dell’iceberg di un problema di identità dell’Unione Europea, che deve necessariamente correggere il tiro in quanto, come detto da Giorgio Napolitano, “Nessuno stato europeo può illudersi di contare solo sulle sue forze”. Dopotutto Napoleone Bonaparte lo aveva profetizzato secoli addietro: “L’Europa sarebbe diventata di fatto un popolo solo; viaggiando ognuno si sarebbe sentito nella patria comune…Tale unione dovrà venire un giorno o l’altro per forza di eventi. Il Primo impulso è stato dato. (…) credo che non sarà più possibile altro equilibrio in Europa se non la lega dei popoli.”
L’Unione Europea, giunta a un punto di non ritorno, è tornata sul sentiero tracciato nel lontano 1957, quando venne istituita la Comunità Economica Europea.
La fase post emergenza sanitaria è per l’Europa difficile, lo è ancor di più da quando si è ufficializzata la Brexit il 31 gennaio 2020. Di per sé, l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea era già una grossa sfida di tenuta: i venti nazionalistici sferzano il mondo e l’Europa non è esclusa. Gli Stati Membri chiedono quotidianamente risposte che l’Unione, spesso tarda a dare. L’avvento della pandemia, che ha visto l’Europa colpita duramente, ha generato tensioni centripete e nazionalistiche. L’Italia, la Spagna, la Francia e la Germania sono state duramente colpite dal Covid, che ha inevitabilmente messo in ginocchio le economie delle quattro potenze industriali dell’economia europea. Gli Stati medio-piccoli grazie alle politiche economiche europee, per decenni favorevoli, hanno retto l’urto a differenza degli Stati più grandi, naturalmente più in difficoltà, che hanno dovuto fare i conti con il Virus e un’altra emergenza, quella della carenza dei posti letto, soprattutto di quelli in terapia intensiva.
L’Italia è stata, insieme alla Spagna, tra i Paesi più martoriati dal Covid ed è stato anche lo Stato che per primo ha fatto blocco in Europa per accedere ad una serie di fondi europei a fondo perduto, oltre che a prestiti a tassi vantaggiosi (quello che sarebbe poi diventato il Recovery Fund). L’Italia, con difficoltà e insieme agli Stati maggiormente colpiti dall’emergenza, è riuscita anche ad ottenere una rimodulazione vantaggiosa del Meccanismo Europeo di Stabilità, il Mes. Tuttavia, la tendenza è quella di evitarne l’utilizzo: il Movimento 5 Stelle non vuole il MES che è considerano una versione gentile della Trojka, una sorta di commissariamento di fatto.
Intanto, il dibattito sul Recovery Fund ha fatto nascere un asse ben delineata: quella dei Paesi Frugali, termine coniato dal Financial Times. I Paesi Frugali sono gli Stati Membri dell’Unione che hanno economie simili e piccole, molto efficienti, pronte ad approfittare del mercato interno e assai ostili a politiche volte all’assistenzialismo delle economie più strutturate e grandi come quelle di Italia, Germania, Spagna e Francia. L’asse dei Paesi Frugali, che di fatto divide l’Europa, in due blocchi è composto da: Olanda, Austria, Danimarca, Svezia, Finlandia e Repubbliche Baltiche. Il leader di questo fronte è il primo ministro olandese, Mark Rutte. Nonostante la sfida persa sul Recovery Fund, il ruolo dei Paesi Frugali, si è dimostrato assai incisivo ed influente. Il ministro per gli affari europei, Vincenzo Amendola, si dice soddisfatto in quanto: «Egoismi e veti stanno mettendo a rischio il futuro dell’Europa, ma l’Italia è stata determinata. Riformeremo il Paese e daremo una nuova speranza all’UE».
Per l’ex premier, oggi Commissario per gli affari economici e monetari europei, Paolo Gentiloni: «Il vertice infinito è finito con un’intesa. La Next Generation UE è la più importante decisione economica dall’introduzione dell’euro. Per la Commissione, che ha proposto il piano, comincia la sfida più difficile. Il 21 luglio, l’Europa è più forte delle proprie divisioni».
FONTI:
- Adnkronos
- Ansa
- Il Sole24Ore
- Il Corriere della Sera
- Il Mattino