“Il talento del calabrone” è il thriller italiano di cui sentivamo il bisogno
Nel panorama cinematografico italiano degli ultimi anni a mancare era proprio un film come “Il talento del calabrone”. Il thriller intelligente e spiazzante di Giacomo Cimini, disponibile su Amazon Prime Video, si avvale del talento per la recitazione di tre grandi nomi: Lorenzo Richelmy, Anna Foglietta e Sergio Castellitto.
Le location sono solamente due: la sede di Radio 105, in particolare la consolle del dj, e l’interno di un’automobile. Sembrerebbe così che “Il talento del calabrone” sia inscrivibile in quel filone di lungometraggi ambientati in pochi luoghi, a volte addirittura in uno solo, capaci di amplificare la sensazione di claustrofobia dei personaggi e dello spettatore stesso, ma in realtà ci troviamo a fare i conti con un film che è tutt’altro, e questo è chiaro fin dalle prime inquadrature.
Il regista Cimini ci proietta dall’inizio della storia all’interno di una Milano che è simbolo del progresso tecnologico, di cui la sede della radio è un elemento quasi magico, irrorato da luci futuristiche e al tempo stesso faro emanante splendore.
La realtà urbana è potenziata dalla messa in scena cinematografica che la rende ambigua, in bilico tra riproduzione fedele e spettacolo visionario.
Il protagonista “positivo” del film è il giovane Steph, famoso dj idolo dei ragazzini e apprezzato dagli adulti: una specie di star eroica che attraverso la sua voce in radio rassicura gli ascoltatori dai loro turbamenti, li diverte, attenua le ansie e le fatiche quotidiane di tutti. Steph è in realtà l’emblema dell’uomo iper-moderno, che ha fatto dell’Io Dio. È un narcisista in grado di parlare per ore, ma incapace di ascoltare.
Il suo antagonista, il villain del thriller, è un attentatore (evitando di incorrere in spoiler non graditi) che vuole parlare alla radio, con Steph, per raggiungere il suo scopo. Fa parte di un’altra generazione e inizialmente appare paternalistico e autoritario a un pubblico giovane, più simile certamente al dj Steph.
Il film gioca per tutta la sua durata sul dialogo in diretta radiofonica tra i due uomini: un botta e risposta che accresce la tensione di minuto in minuto, a tratti ricalcando la tipica struttura del thriller all’americana, ma scomponendola e ricomponendola così da generare un prodotto creativo nuovo e originale.
Chi vedrà o ha già visto “Il talento del calabrone” potrà riflettere, a mio parere, su una grande lezione che impartisce il film riguardo all’ascolto dell’altro.
In una società sempre più nevrotica, in preda alla smania di parlare sulla voce altrui, al posto di tacere e ascoltare, le conseguenze possono rivelarsi tragiche.
C’è il rischio di sprofondare nella follia: se tutti noi parliamo incessantemente, nessuno potrà mai ascoltarci.