La Howard University di Washington dice addio ai classici
La Howard University di Washington era l’unica università storicamente afroamericana ad avere al proprio interno una facoltà di studi classici. Oggi, non più. Il celebre college in cui si è laureata Kamala Harris, attraverso un rapido comunicato burocratico, ha deciso di smantellare il dipartimento per dare spazio a “priorità diverse” nella formazione dei propri studenti.
Tutto ciò non sorprende. È soltanto un altro passo della lunga, patetica, marcia iconoclasta che sogna un’epoca futura non contaminata dalle scorie razziste e misogine dei pensatori classici. Omero, Cicerone, ma anche Virgilio e altre grandi menti del passato sarebbero tragicamente responsabili di piantare il seme dell’odio nel percorso formativo dei giovani. Nient’altro che vecchi uomini bianchi, superati e fastidiosamente inattuali. Per questo motivo andrebbero cancellati.
Alla base dell’operazione scellerata e politicamente corretta – certamente non l’unica dei nostri tempi – risiede l’ignoranza imperdonabile del concetto stesso di classicità. L’idea di “classico” presuppone un’appartenenza al passato. Questo è vero. Ma ciò che può essere definito “classico” ha un valore fuori dal tempo. È importante per tutte le epoche. La cultura dell’antica Grecia e dell’antica Roma è “classica” perché ha avuto la potentissima capacità di produrre canoni.
Quei canoni che ogni corrente intellettuale, vicina alla definizione di “avanguardia”, ha poi messo in crisi.
Sul Washington Post, i professori West e Jeremy Tate, si sono espressi a sostegno dei classici, ritenendoli indispensabili per la nascita di eroi positivi, sostenitori dei diritti civili dei neri.
Un esempio in particolare è quello di Martin Luther King, che da giovanissimo si innamorò dei greci, al punto di citare più volte Socrate nella Lettera dal carcere di Birmingham, un fondamentale testo antirazzista.
Per West e Tate, il mondo accademico, ignorando e snobbando i classici, si rende colpevole di una vera e propria decadenza spirituale, peccando di chiusura intellettuale e andando incontro a un declino morale certo.
Sarebbe rasserenante pensare che l’ennesimo attacco ai nostri illustri antenati sia solo il frutto di un errore storiografico diffuso, figlio di una visione teleologica (cioè che parte dalla fine), per cui il presente è considerato lo standard assoluto, e tutta la storia precedente come flusso di prove e tentativi per arrivare all’oggi. O meglio, quest’errore c’è, ma, spesso, è in cattiva fede. La pretesa che le società antiche dovessero essere aperte e inclusive come le nostre, non servirà a superare la mancanza di inclusività che, per certi versi, continua a esistere oggi. A rafforzare il proprio, personalissimo, narcisismo “politico” nutrito da vezzi estetici, sì. Ma non ne sentiamo il bisogno.