Quanto è difficile perseguire il consenso?
Trovo paradossale che sia stata proprio la recente bufera che ha travolto il nostro Ministro delle politiche agricole, Nunzia De Girolamo, a scatenare in me uno strano senso di inquietudine, un’agitazione dal momento che ha fatto si che mi riproponessi una domanda che, in realtà, periodicamente mi pongo ma a cui tutto sommato non sono mai riuscita a dare una risposta esaustiva ovvero: “Cosa deve fare un buon politico oggi per conquistarsi il consenso nel Mezzogiorno?”
Analizziamo i fatti: l’attenzione generale dei media è concentrata da giorni su alcune intercettazioni, risalenti a poco più di un anno fa, che riguardano la De Girolamo e da cui si desume (anche se è ancora tutto da dimostrare) che il ministro abbia favorito la nomina dell’attuale direttore dell’Asl di Benevento e influenzato lo svolgimento di alcune gare d’appalto.
Ora tralasciando le indagini e la possibile questione giudiziaria, il punto su cui mi sono soffermata è la pratica presumibilmente utilizzata nel caso in questione, ovvero quella a tutti noi tristemente nota come “pratica clientelare”. Il famoso “dare per avere” o per dirla alla latina il famoso “do ut des”. Il sistema degli scambi che se ci pensate bene, o meglio se ci prestate attenzione, oggi giorno, è riproposto un po’ ovunque, in forma più o meno grave o più o meno legale, e su ogni livello ma in particolar modo in politica dove “io favorisco te e tu voti me”: dal candidato consigliere che aspira ad essere eletto nel proprio comune d’appartenenza e che quindi può avere “un occhio di riguardo” per il suo elettorato, sino al parlamentare europeo. Credo seriamente che alla base di tutto questo sia riscontrabile un vero e proprio problema culturale!
In questi ultimi 20 anni si è sviluppata un’idea a dir poco malsana per cui ci si è convinti che la politica (e quindi il politico) debba servire personalmente gli individui: la politica deve darmi un posto di lavoro, la politica deve garantirmi uno sgravo delle imposizioni tributarie, la politica mi deve, deve, deve…
Ma quando esattamente in Italia, e in particolare nel Mezzogiorno, la politica ha smesso di aver quella qualificazione datagli dagli antichi greci circa 2500 anni fa di “amministrazione della "polis" per il bene di tutti”?
E quindi alla luce di queste considerazione torno a riproporvi la mia domanda iniziale: Cosa deve fare oggi un buon politico (dove per “buono” intendo con la voglia di ripristinare quell’antica qualificazione greca - di cui sopra) per conquistarsi il consenso nel Mezzogiorno?
Premettendo il fatto che ho sempre creduto che, di base, un politico agisca per avere successo, ho elaborato -col passare del tempo una teoria per cui tendo poi a distinguerli in due macro-categorie:
-i Politici con una piccola ambizione che mirano alla sopravvivenza che di fatto può essergli garantita proprio dal famoso “do ut des”.
-i Politici con una grande ambizione: ovvero quelli che perseguono (quello che mi piace definire) il “sogno collettivo”.
E vi confesso che, nel mio piccolo, ho sempre vissuto la passione politica come una sorta di vocazione, quasi come una malattia, una vera e propria follia assolutizzante che ti porta a voler dare, in qualche modo, il tuo contributo per “cambiare le cose”, per correggere le storture esistenti, per ridurre le “ingiustizie”, insomma per provare a lasciare il mondo un posto migliore di come lo si è trovato. Lo so, queste parole vi sembreranno un po’ semplicistiche e nella migliore delle ipotesi utopistiche (o megalomani: dipende dai punti di vista) ma è proprio questo quello che io intendo quando vi parlo di “sogno collettivo”.
Eppure, allo stesso tempo, comprendo benissimo quanto sia difficile appassionarsi ad esso soprattutto quando si vive in condizioni di indigenza e a tutto si pensa fuorché ai “sogni” per di più “collettivi”.
Insomma, e qui vi lascio sperando in un vostro futuro contributo:
Cosa deve fare un buon politico oggi per conquistarsi il consenso nel Mezzogiorno? Come si trasforma “l’interesse privato” in “bene comune”? Ma soprattutto come si proietta l’indigenza del presente in un sogno del futuro?
A voi l’ardua sentenza.