I Festival del cinema e le piattaforme streaming
Ormai i celebri festival del cinema, come il Festival di Venezia, annunciano la presenza delle produzioni targate Netflix, piattaforma in streaming che si dimostra anno dopo anno un cantiere eccellente di prodotti di altissima qualità. I film che hanno concorso alla Biennale in passato sono i seguenti: “Marriage Story” di Noah Baumbach con la dirompente presenza di attori del calibro di Scarlett Johansson, Addam Driver e Laura Dern; “The Laundromat” di Steven Soderbergh e “The King” di David Michod, quest’ultimo fuori concorso.
Ancora prima, opere firmate Netflix o Amazon hanno avuto accesso a Venezia,
basti pensate all’enorme successo riscosso da “Roma” di Alfonso Cuaròn in grado di compiere una scalata fino all’Oscar.
polino di lancio verso gli Oscar
Oggi, al Festival di Venezia sono presenti in selezione ufficiale le produzioni Netflix: il film di Sorrentino “La mano di Dio” e l'esordio alla regia della Gyllenhaal con “The Lost Daughter”; in Orizzonti Extra poi c'è il regista brasiliano Alexandre Moratto con i suoi “7 Prisoners” e infine l'atteso film di Jane Campion “The Power of the dog”. Con questa premessa, che corrisponde alla realtà empirica di come sono andate le cose, sembrerà strano lo scoppio delle polemiche.
È anche e soprattutto uno scontro ideologico tra due linee di pensiero differenti, una a
sostegno delle realtà sociali, culturali ed economiche delle classiche sale e un’altra che mette in primo piano l’apertura a un futuro contraddistinto dalla presenza pervasiva del web e dall’imporsi di un nuovo ciclo di distribuzione nell’industria cinematografica, molto meno rigido e molto più simile a una “rete”, per l’appunto. Non è un caso che registi e autori di grande fama spazino tra produzioni cinematografiche e via web senza prediligere esclusivamente un unico canale di diffusione.
Il mercato dei media è in continua evoluzione e oggi più che mai composto da realtà
molteplici, non necessariamente inconciliabili, in grado di affiancarsi e coesistere senza farsi guerra a vicenda, anche attraverso quel processo di ri-mediazione di cui parlava McLuhan, per cui è possibile l’assunzione di un medium come contenuto di un altro medium. Su un fattore in particolare non si può non concordare a pieno: il cinema non è più unicamente quello proiettato sul grande schermo. E chi sostiene che tale processo sia sbagliato o foriero di un abbassamento di qualità dei prodotti, incappa in un romanticismo limitante che imprigiona la settima arte in un sistema anacronistico e macchinoso, privandola della possibilità di declinarsi in nuove forme e di compiere quell’evoluzione arricchente che ha ormai intrapreso negli ultimi anni.