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NAPOLI 1990-2050. INTERVISTA AD ENRICO CARDILLO

Scritto da Angela Pascale Il . Inserito in Il Palazzo

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Analizzare, raccogliere analisi, approfondimenti e proposte, è quanto hanno provato a fare più di 30 esponenti della cultura, del mondo accademico, delle associazioni, delle forze sociali e imprenditoriali, “per stimolare un dibattito pubblico a sostegno di una strategia di sviluppo della Città Metropolitana di Napoli, sforzandosi di aprire l'orizzonte a un progetto che spinga la città a collocarsi come anello di congiunzione tra l’Europa e il Mediterraneo, valorizzando la propria vitalità culturale e scientifica, complesso laboratorio di integrazione sociale”

Tra questi Enrico Cardillo, ex segretario regionale della Uil, assessore al bilancio della giunta Iervolino per 8 anni ed ora direttore generale di Stoà (Istituto di Studi per la Direzione e Gestione di Impresa).

Tra pochi giorni uscirà il libro “Napoli 1990-2050. Dalla deindustrializzazione alla transizione ecologica”, a cura di Attilio Belli, che raccoglie i saggi di più di 30 personalità napoletane, tra cui lei, ci dia qualche anticipazione!

Il libro ha una connotazione molto originale perché, sotto la “curatela” prestigiosa di Attilio Belli, è frutto della riflessione di 30 autori con storie, competenze ed orientamenti plurali. Inoltre, ha come fuoco sia la riflessione critica di un inglorioso trentennio passato che l’indispensabile necessità di ricollocare strategicamente Napoli come area attrattiva nel mezzo tra Europa e Mediterraneo.

Il suo saggio, in particolare, su quale aspetto si concentra?

Io evidenzio uno dei tanti punti di crisi della realtà napoletana: la mancanza di continuità amministrativa nel succedersi delle esperienze di governo locale. L’esatto contrario di quanto accade in altre grandi città e regioni italiane. Tale mancanza, insieme all’incapacità di pensiero strategico, ha paralizzato lo sviluppo di Napoli.

Dal suo punto di vista, questo libro che valore ha e cosa vuole raggiungere?

Il volume, nell’intenzione di Attilio Belli, vuole stimolare riflessione e azione dei diversi protagonisti della scena urbana.

Ci sono opinioni distinte, ma queste come possono conciliarsi in una operazione che vada nella stessa direzione per Napoli?

Il confronto tra opinioni diverse ha un grande valore nel ripensare i territori, soprattutto quelli in crisi, ma poi occorre che il decisore pubblico Comune di Napoli decida, faccia scelte efficaci per rendere la città attrattiva e competitiva.

Certo, sono tutte voci fortemente critiche verso gli ultimi 30 anni e più, ma allora a Napoli il centrosinistra ha fallito?

Si, perché non è stato in grado di dare una visione strategica all’area metropolitana di Napoli dopo la devastante deindustrializzazione dei decenni precedenti. Napoli ha un deficit di normalità nel suo funzionamento e non sa quale è il suo futuro. Il centrosinistra che ha governato per tanti anni è corresponsabile soprattutto verso i giovani.

E come mai il centrodestra non riesce ad essere un’alternativa?

Il centrodestra, nonostante a fasi alterne abbia conseguito lusinghieri consensi elettorali a Napoli e dopo avere governato anche la Regione con Rastrelli e Caldoro non ha mai saputo diventare alternativo liberal e modernizzatore.

A più di tre mesi dall’insediamento del sindaco Gaetano Manfredi, come reputa il suo lavoro? Come sono andati i famosi primi 100 giorni? È entrato in sintonia con la città, secondo lei?

È ancora presto per esprimere un giudizio compiuto su Gaetano Manfredi essendosi appena insediato. Ha avuto una eredità tremenda ma avendo visione e programma sicuramente ha le carte in regola per fare di Napoli una città normale, che funziona, che sa essere attrattiva di investitori e capitali e quindi generare vivibilità e benessere.

Lei che è stato uno dei protagonisti della stagione politica dei primi anni 2000, quali consigli darebbe al neosindaco affinché i prossimi 30 anni siano migliori degli ultimi 30?

Non sono in grado di dare consigli a Gaetano Manfredi e poi non ne ha bisogno perché ha chiarezza su come risolvere “la grande questione napoletana” sarà avvantaggiato nei suoi compiti perché sa quanto è importante avere visione, conoscenza degli scenari internazionali e dei paradigmi dello sviluppo.

In un suo articolo del 30 dicembre scorso sul Cormez ha parlato dei corpi intermedi napoletani e campani e di quanto spesso siano stati commissariati o siano stati litigiosi nel corso degli anni, non riuscendo, spesso, a dare il giusto contributo allo sviluppo del territorio. Come è possibile invertire questo fenomeno e creare cooperazione tra società civile, corpi intermedi e istituzioni? Cosa possono fare meglio?

Sono lapidario: i corpi intermedi si rigenerano se mettono al centro della loro azione gli interessi generali, certamente anche quelli della propria base associativa, ma mai quelli personali o di fazioni. Al contrario diventano unicamente strumenti di carriere ed interessi.

Napoli riuscirà a raccogliere la sfida/opportunità del PNRR?

È un’occasione storica che la città non può perdere. Una volta ogni tanto le risorse non mancano dobbiamo solo avere progetti strategici ed utili a saperli portare a termine entro il 2026.

Da questo libro può essere fondato un luogo permanente di elaborazione di idee e progetti per Napoli?

Un libro può contribuire ad elaborare idee in una città dove si è rarefatto spirito e spazio pubblico di confronto, quindi, può fare solo bene alimentare confronti.