“E Adone non lo sa…” opera di Gaetano Di Riso in esposizione al MANN
Il MANN, Museo Archeologico Nazionale di Napoli, ospiterà fino al prossimo 25 aprile la mostra “E Adone non lo sa…” di Gaetano Di Riso. L’esposizione, avente come ente promotore la Fondazione Banco di Napoli e sponsorizzata dalla Fondazione Part, presenta dodici tele ispirate ad una celebre scultura che appartiene alle collezioni del MANN.
L’opera in questione riguarda Adone di Capua, opera che dalla prossima estate sarà inserita nel nuovo allestimento della sezione Campania Romana dell'Istituto: il marmo, che risale al II sec. d.C., decorava l'Anfiteatro Campano di Santa Maria Capua Vetere. Nell'iconografia antica, il bellissimo giovane, amato da Venere, rappresentava lo spirito della primavera e la natura che rifiorisce: partendo da questa suggestione, Di Riso applica il linguaggio dell'arte contemporanea alla rilettura del mito.
“E Adone non lo sa…” raccoglie, come già detto, dodici tele, accostate ad un'installazione lignea intarsiata (non casuale il titolo: dodici facce) e a tre panche che riproducono le suggestioni tratte dalla figura scultorea. Adone diviene creatura surreale e, in un certo senso, legata alla dimensione urbana. Nei quadri, in cui sono predominanti i colori da sogno dell'azzurro e del blu sfumato, il giovane è profilo protettivo che sorvola e osserva la città, in pose che riecheggiano la fantasia di Marc Chagall (tela "La distanza”). Adone è anche un ponte fra passato e presente, come suggerisce il suo busto tagliato in una raffigurazione. Si trasforma, inoltre, in creatura antropomorfa come custode di una memoria antica.
L’intento dell’artista è quello di trasportare la statua, in maniere figurativa, in giro intorno ai luoghi dell’arte insieme a lui, volando su paesaggi, ponti, case, come due viaggiatori sulla terra alla scoperta di nuove configurazioni. La scommessa dell'artista è suggerire un percorso altro.
Il compito affidato al visitatore è quello di andare a caccia di simboli, perdendosi nelle due sale della mostra (94 e 95, accanto al Plastico di Pompei): con resa calligrafica, infatti, Di Riso non si discosta mai dall'originale scultoreo, sempre ben riconoscibile per quanto trasfigurato.