fbpx

Qualche spunto rortyano tra novax e complottisti

Scritto da Vitaliano Corbi Il . Inserito in Vac 'e Press

rorty32

Tra i filosofi americani più influenti del Novecento, sicuramente un posto d’onore spetta al neopragmatista Richard Rorty. Si definiva un illuminista liberale, ma si può affermare, con certezza, che il pragmatismo era, di fatto, il suo metodo epistemologico.

Contro ogni tipo di “rappresentazione”, Rorty voleva mostrare che la caccia alla conoscenza è una caccia mal guidata, o che, almeno, manca continuamente il bersaglio. Lo standard epistemologico da porsi è uno: “è vero quello che serve”.

Ma in che senso “serve”? Cosa intende Rorty per “servire”? Ecco, se si vuole usare come sinonimo di “servire”, il termine “funzionare”, allora questo si deve far coincidere con un significato preciso e diverso da quello dell’uso comune. “Funzionare” è ridurre il dolore e aumentare la prosperità del genere umano. Il proposito è proprio quello di tendere alla felicità. Di conseguenza, non esiste la realtà con la R maiuscola, non esiste il Giusto come autorità morale. Giusto è, semplicemente, ciò che riduce il dolore e accresce il benessere. L’oggettivo non è più importante del fatto che noi, come individui, ci mettiamo d’accordo per arginare le pene.

Cercando di parlare del pensiero rortyano, senza incorrere nel rischio di banalizzarlo, si potrebbe dire che ciò che conta sia il mettersi d’accordo sul miglior modo possibile per affrontare le cose spiacevoli del mondo, a discapito della ricerca di una verità universale e, quindi, oggettiva.

Ed ecco che questo brevissimo excursus su Rorty ci porta a diverse chiavi di lettura di tanti fenomeni contemporanei di cui sentiamo parlare quotidianamente dai media: l’antivaccinismo e il complottismo tout court in primissima linea.

Si potrebbe affermare che il vaccino non causi l’autismo, che, in generale, sia un farmaco fortemente sicuro, e che queste due cose rappresentino una verità scientifica. Nel nostro mondo esistono agenzie e istituzioni scientifiche a cui fare affidamento per iniettarsi quel liquido in grado di proteggerci da virus piuttosto antipatici come il covid-19.

Allora perché non esistono cose che sono, effettivamente, verità universali? La risposta, di tipo rortyano, è la seguente: perché non si può convincere tutti i presenti su questo mondo che quelle lì siano verità universali.

In particolare, cos’è che dovrebbe produrre sufficiente fiducia nell’idea che si possano convincere tutti? Si tratta di una domanda retorica. La risposta, per il neopragmatista, è: nulla.

In effetti quella che viene chiamata “verità universale” non è più della giustificazione.

Il novax che si ammala di covid, probabilmente, darà altre spiegazioni alla sua febbre. E ce ne sono di super fantasiose possibili. In più, spesso, sulla base analitica non si riesce a convincerlo con l’argomento scientifico. Ma non per questo il suo punto di vista sparisce. Il suo punto di vista, che piaccia o no, esiste.

Credere che ci sia una specie di forza suprema che atterri tutte le obiezioni, come strumento universale, è mera utopia di autorità.

Tutto ciò che è possibile fare, anche con la filosofia, è arte della persuasione. È affinare metodi per convincere. La verità assoluta disgiunta da meccanismi di giustificazione non esiste. In conclusione, se però esistono (e li ascoltiamo, spesso, in tv e sul web) punti di vista e argomenti non utili, che per l’appunto “non servono”, ad arginare un virus come il covid-19, allora non solo quest’ultimi vanno abbandonati, ma, potremmo, a buon ragione, definirli anche “stupidi”.