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Licorice Pizza (recensione)

Scritto da Vitaliano Corbi Il . Inserito in Cinema & TV

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È al cinema “Licorice Pizza”, il nuovo film di Paul Thomas Anderson che, sta volta, immerge la cinepresa nella San Ferdinando Valley degli anni Settanta, proprio lì dove è cresciuto.

I protagonisti sono due: il quindicenne Gary, frenetico, ambizioso e strabordante di progetti lavorativi per il futuro, e la venticinquenne Alana, che oscilla tra l’essere una classica, granitica, femme fatale e un’ansiosa ragazzina quasi donna.

Gary, dal primo minuto, si innamora follemente di Alana. Lei no. Si configura il più classico dei drammi adolescenziali (e non) che la maggior parte di noi ha dovuto affrontare.

Ma “Licorice Pizza” non è soltanto una “love story” dai toni platonici, non può dirsi un film sull’amore adolescenziale e basta. “Licorice Pizza” è soprattutto un grande omaggio agli anni Settanta e alla loro estetica mostrata con gli occhi di due ragazzi abbandonati a sé stessi. Dunque, uno sguardo stralunato, forse infantile, sicuramente a cuore aperto.

L’omaggio agli anni Settanta non è, quindi, da intendere come una celebrazione estatica dell’humus sociale e culturale degli Stati Uniti in quel preciso momento storico, ma più come un manifesto caotico di gioventù perduta.

L’ultima opera di Anderson è interessante anche perché si distacca dal precedente film “Il Filo Nascosto”, dotato di una perfezione stilistica invidiabile, attentissimo ai dettagli, raffinato e ricco di virtuosismi. “Licorice Pizza” è, all’opposto, un film quasi grezzo. Manca di quell’eleganza del suo predecessore, ma in continuità con quella scrittura ironica e stuzzicante tipica del regista. È un film sul piacere dello sguardo, semplice nei contenuti e nella composizione delle immagini, ma senza mai scadere nel sentimentalismo. È un film costruito intorno a un bacio, che potrebbe arrivare come non arrivare mai. Ma questa cosa qui, per quanto banale all’apparenza, la si scopre soltanto andando al cinema.