Iran: Khamenei è un pendolo tra Meta e Charlie Hebdo
L’Ayatollah Khamenei è diventato il protagonista indiscusso della satira e del dissenso in Iran e così, tanto i cittadini quanto la comunità internazionale, espongono come possono il proprio dissenso attraverso i social network e la carta stampata.
Nel caso specifico, i protagonisti in gioco sono Meta, con tutti i suoi tentacolari prolungamenti quali Facebook, Instagram, WhatsApp e Messenger, e Charlie Hebdo, la nota rivista satirica francese, divenuta tristemente nota in tutto il mondo non solo per il suo pungente umorismo ma anche per gli attentati del 2011 e del 2015.
Procedendo per gradi, Charlie Hebdo avrebbe prodotto una serie di vignette totalmente dedicate a Khamenei, ritraendo lo stesso Ayatollah in maniera comica e grottesca. L’affronto non è passato inosservato e diverse sono state le sollecitazioni da parte del governo iraniano, senza mai far riferimento a Charlie Hebdo nello specifico, minacciando seri provvedimenti, proporzionali all’affronto subito, e convocando addirittura l’ambasciatore francese in Iran presso le sedi del Ministero degli Esteri. “L’atto ingiurioso e indecente di una testata francese nel pubblicare vignette contro le autorità religiose e politiche non sarà efficace senza una risposta decisa ed efficace”, così il ministro Hossein Amir Abdollahian.
Retroscena interessante invece è quello inerente alla piattaforma Meta. L’azienda ha notoriamente una policy contro la repressione del dissenso politico – fenomeno che in Iran negli ultimi mesi è diventato molto grave, facendo uno spillover tutt’altro che graduale dalle strade alla rete digitale – e quindi avrebbe fatto dietrofront sul blocco su Facebook di alcune espressioni utilizzate contro l’Ayatollah. Nello specifico lo slogan bannato recitava “morte a Khamenei” e lo staff dell’Oversight Board, il quale si occupa proprio del controllo della qualità dei contenuti circolanti sulla piattaforma e lavora in maniera indipendente da Meta, l’avrebbe ritenuto appropriato in quanto non rappresenterebbe una vera e propria minaccia ma solo una delle diverse sfumature di lettura dell’espressione “margh bar Khamenei”, che avrebbe invece un utilizzo molto simile ad un nostro tradizionalissimo “abbasso Khamenei”, che a conti fatti non costituisce una violenza, neanche verbale, ma solo un’espressione politica.