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Quanto è difficile perseguire il consenso? PARTE II

Scritto da Aldo Masullo Il .

Aldomasullo

La risposta alla domanda posta da Francesca Scarpato nel suo articolo di qualche numero fa (http://www.qdnapoli.it/index.php?option=com_content&view=article&id=508:quanto-è-difficile-perseguire-il-consenso&catid=13&Itemid=109), è la sfida a dare una risposta impossibile. Mi spiego.

La vita degli uomini, come tutta la realtà, è un campo di forze. A ognuna di esse tocca, secondo la sua particolare situazione, di scontrarsi con altre. Dal punto di vista naturale, lo scontro è ogni volta determinato dall'interesse e risolto con la forza in una delle sue molte forme, non tutte violente, cioè distruttive dei corpi o delle menti. Poi, oltre la pura naturalità, negl’individui culturalmente umanizzati, sono presenti forze non distruttive, come il ragionamento e il dialogo, la franchezza e la trasparenza, l’esempio e l’entusiasmo. La domanda dunque su “cosa debba fare oggi un buon politico per conquistarsi il consenso nel Mezzogiorno”, è provocatoria, perché semplicistica. Ci si dovrebbe piuttosto chiedere quali sono le forze che, nell’attuale stato dell’Italia meridionale e in particolare di Napoli, un “buon” politico dovrebbe saper mettere in campo. Peraltro è evidente che chiedersi cosa debba fare un “buon” politico, è voler sapere cosa sia non tanto l’esser “bravo” nell’uso della forza di cui si dispone, come interesserebbe sapere di un buon meccanico o di un buon avvocato, quanto l’esser capace di servirsi di tale forza per realizzare il “bene”, cioè un ordine secondo giustizia e la pace tra gli uomini. Solo così riformulata la domanda appare ragionevole, e si articola in due punti: primo, in quali condizioni si trovi la società in questione; secondo, di quali forze utili si possa disporre.
Per il primo punto la risposta, sia pure semplificata al massimo, è che oggi la società dell’Italia meridionale è caratterizzata dalla persistente cultura tardo-feudale della “protezione”, in cui tuttora sulle corrette procedure del diritto, cui corrisponde la coscienza civile del dovere, prevale la pratica clientelare dello scambio dei favori. Da ciò facilmente derivano i due più gravi fenomeni degenerativi: l’uno è l’antica abitudine alla corruzione e l’altro è la camorra. Questa, un tempo minuta e subalterna, tumultuosamente si è venuta trasformando in potente organizzazione criminale che osa guerreggiare alla pari con lo Stato. A sua volta la corruzione è penetrata fin ai livelli alti dell’amministrazione pubblica e della funzione politica. Intanto i non pochi ostinatamente incorrotti si rifugiano nell’indifferenza, nell’accidia civile.
La risposta al secondo punto è che il gruppo fondamentale di forze il politico deve trovarlo là, dove nasce la sua libertà: nel suo stesso modo di vivere. L’esempio di una lotta disinteressata per la giustizia, le necessarie mediazioni praticate non in luoghi esclusivi o addirittura privati, le dimissioni pubblicamente motivate quando resistenze insuperabili impediscono l’attuazione del progetto politico in cui si crede, il parlar chiaro ai cittadini, son tutte queste le potenti forze personali del “buon” politico. Quanto alle altre forze, su cui nella nostra situazione, si può e quindi si deve contare, il serbatoio di esse è il gran numero di silenziosi incorrotti o indifferenti, da incoraggiare gli uni e da scuotere gli altri. Ma decisiva è l’attesa dell’immensa popolazione di coloro che per l’età non si sono ancora corrotti o resi indifferenti: sono i giovanissimi che quotidianamente sperimentano sulla loro pelle la confusione della società e la demoralizzante assenza di prospettive e di guide. A questi il “buon” politico deve oggi rivolgere la sua onesta attenzione e, persuadendoli della dignità e della convenienza della conoscenza critica e della lotta solidale, unica speranza responsabile, iniziare con loro un nuovo cammino.

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