Al Bellini ritorna "Dignità Autonome di Prostituzione"
Quando la serata a cui vi apprestate ad assistere porta il sottotitolo di “Bordello dell’arte”, probabilmente l’idea che non si stia per assistere ad uno spettacolo teatrale convenzionale deve avervi già sfiorato. Il fatto che lo storico teatro del Bellini vi accolga poi con i suoi antichi lampioni che ammiccano con un colore rosso, e che all’ingresso al cambio del biglietto vi sia fornita una valuta immaginaria chiamata dollarini, deve infine avervi tolto ogni dubbio: decisamente state per vedere qualcosa di diverso.
Di cosa si tratti precisamente però, questo rimane ancora un mistero, e probabilmente mentre cominciate a rimuginarci su potreste essere tentati di dirigervi al bar, bevendo qualcosa nell’attesa che una delle maschere vi comunichi che lo spettacolo sta per cominciare e voi siete attesi in sala. Il fatto che al pianoforte ci sia una ragazza che suona, a voi che nel frattempo ordinate da bere, potrebbe apparire anche una semplice coincidenza, tutt’al più un originale intrattenimento studiato per rendere più gradevole la vostra attesa. Quando però una figura dalle forme giunoniche, rinchiusa in autoreggenti e corpetto, siede silenziosa nel centro dell’atrio e comincia a suonare un violino, la consapevolezza che nessuna maschera verrà a chiamarvi e che lo spettacolo e già cominciato oramai deve avervi raggiunto.
Come i topi di quella vecchia fiaba, vi ritrovate spinti dal desiderio di essere quanto più possibile vicino a questa surreale incantatrice, e la sensazione di essere nel mezzo di una scena dal sapore Felliniano vi colpisce all’improvviso. E’ lei, Erma Pia Castriota, in arte H.E.R., ad aprire lo spettacolo. Poco importa quanto sia educato il vostro orecchio musicale, che dinnanzi a voi ci sia una grande musicista è subito palese, che voi siate degli abituali frequentatori dei templi dell’opera o che la vostra cultura musicale si fermi ad un più modesto ascolto di Hit di musica pop selezionate da MTV. Quando l’ultima nota si perde con i suoi echi tra le pareti della stanza l’incantesimo si spezza, e voi vi ritrovate a correre, non si sa bene verso quali posti, all’interno del teatro. Sia che capitiate in una platea con i sedili divelti a formare una grande sala comune con un piccolo palco centrale, sia che vi sistemiate in un palchetto in cui da un momento all’altro potrebbe piombare uno degli attori, la sensazione che la quarta parete sia caduta prima ancora di essere eretta è lampante.
La stessa confusione che accompagna quotidianamente i vostri passi nella vita quotidiana sembra essere stata per una sera magicamente trasfigurata all’interno dello storico teatro partenopeo. Siete finalmente pronti perché vi venga data qualche spiegazione, e vi sia fatta qualche presentazione. A fare gli onori di casa per primi sul palco principale sono i tenutari di questo immaginario bordello, grottesca famiglia composta da Lia (Daniele Russo), i suoi due fratelli, Cerebro e la Frigida (Gabriele Guerra e Gaia Benassi), ed infine la sua dolce metà Wanda (Clio Evans), a sorvegliare tutti c’è lui, il Papi (Luciano Melchionna). Dopo un simpatico siparietto da Cabaret, dove allo spettatore/cliente della casa, viene spiegato come orientarsi durante la serata, il posto che si era occupato per breve tempo è pronto ad essere abbandonato e la caccia alla prostituta con cui contrattare la prima performance è aperta. D’ora in poi ci si ritroverà a girare per l’intero teatro, dal Foyeur ai camerini, dagli uffici dell’amministrazione alla sala attrezzi fino a un pullmanino parcheggiato all’esterno. Ogni prostituta ha la sua sala dove promette di intrattenervi con un monologo, non resta che cominciare a sceglierne una e vedere dove vi porterà la serata. Prima però bisogna contrattare, perché l’arte come le perle più preziose della vita, si vende ma non si svende. Da voi dunque, e dalla tenacia della prostituta/prostituto scelta/scelto, dipende come riuscirete a gestire le vostre finanze e quante performance riuscirete a vedere.
L’offerta è davvero ampia, e toglietevi dalla mente l’idea di poter riuscire a vedere tutto in una sera: anche stavolta, come nella vita, a guidarvi saranno il caso e la fortuna. Solo forse a questo punto finalmente intuirete la vera grandezza di questa creatura, che la locandina pubblicitaria definisce in maniera limitante un format. Quando infatti vi sarete allontanati dal frastuono della sala principale e vi sarete accomodati in un locale raccolto, potrete vedere i sorrisi di queste maschere grottesche poc’anzi presentatevi, svanire, per lasciare il posto a delle fragili figure in bilico sul baratro dell’esistenza. Impauriti, sofferenti, soli, si mostreranno a voi lì, intenti a fissare il vuoto della vita che si spalanca ai loro piedi. Per ognuno di loro quel vuoto ha un suo nome e un suo volto. Per la meravigliosa co-autrice dello spettacolo Ania (Elisabetta Cianchini) è il salto di un fratello nelle scure acque del Tevere. Per Lia, il solito magistrale Daniele Russo, è la forma di un corpo che la vita ti costringe ad assumere. Per il Vampiro, l’intenso Raffaele Ausiello, è la compagnia di un destino di morte che attende ineluttabile. Per Mademoiselle A, la fragile Adele Tirante, le spalle di un amore che si volta per sempre. La forma di un’esistenza spezzata in anelito incompiuto di racconto è la faccia che mostra ad un meraviglioso Agostino Aresu. Attraverso questi mille volti a svelarsi dinnanzi agli occhi dello spettatore è la sublime figura di un uomo fermo sul proprio personale burrone, senza nessuna possibilità di poter fare un passo in avanti ne tanto meno all’indietro. Può in definitiva solo girarsi, rimanendo fermo sul posto. Ogni monologo rimane in sospeso, ogni storia è solo un’istantanea di quel personale vuoto.
L’unica scelta che resta possibile è quella di far riaffiorare un sorriso, su cui stavolta noi possiamo scorgere l’ombra d’una leggera amarezza tante volte vista sui nostri stessi visi, e che prima c’era invisibile. E’ il loro, ma forse anche il nostro, modo di voltare le spalle al baratro, lasciandolo, si badi bene, sempre dietro di se, seppur fuori dal proprio campo visivo. Quello che resta dopo ore passate tra una corsa verso il sottotetto e la rapida discesa nel ventre di un inedito Bellini, è, alla fine, la raffigurazione della nostra stessa vita: null’altro che volti i cui tratti si contraggono quotidianamente in faticosi sorrisi grotteschi che tentano disperatamente di nascondere a se stessi le profondità degli abissi che riposano alle proprie spalle. Figure impegnate in una perenne rotazione sul posto, in cui il tempo che si impiega a fissare un punto o il suo opposto dipende dal temperamento e dall’inclinazione personale. L’intimità che sul finale sentiamo essere nata con i protagonisti di questo spettacolo, è forse dovuta, più che ai loro modi confidenziali e scherzosi, proprio alla nascita di questa nostra consapevolezza di essere tutti in definitiva protagonisti di questo stesso beffardo destino. Esseri sublimi racchiusi in maschere grottesche ci ritroviamo tutti, meretrici e clienti, nuovamente in platea, dove, in un’atmosfera da avanspettacolo, assistiamo alla performance di Simona Cipollone, in arte Momo, una delle cantautrici più dotate ed originali del panorama italiano. In un climax crescente seguono sketch di mimi e numeri canori, con voci di tenori racchiuse in corpi di Dj da festino elettronico, parentesi comiche con protagonisti esercizi ginnici surreali ed infine H.E.R., che così come ci aveva accolto al nostro ingresso, si prepara ora a salutarci. Sempre alla sua maniera, con un brano dal sapore ironico e l’intero cast che la deve strappar via oltre il tendone alla nostra compagnia.
Usciamo lentamente, cercando di non lasciar sfuggire il retrogusto che questo spettacolo ha lasciato sul palato della nostra anima, e, per non porre una fine alle sorprese, ritroviamo lungo le scale che portano all’uscita del teatro tutti i volti che ci hanno accompagnato attraverso questo viaggio in noi stessi lungo oltre quattro ore. La possibilità di poterli abbracciare e ringraziare ad uno ad uno è l’ultimo di una lunga lista di regali che Luciano Melchionna ha riservato per noi. Quando poi infine, anche quest’ultimo saluto è stato consumato, in noi rimane uno vago senso di consapevolezza, si ha come l’impressione di essere stati davvero partecipi di un momento catartico. L’ultimo pensiero prima di accendere la macchina e ritornare a casa a questo punto ricade inevitabilmente sulla propria agenda, la ricerca di una prossima serata libera entro il 9 Febbraio da dedicare nuovamente al Papi e alla sua casa chiusa ci accompagna verso la fine di questa serata.