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Cantone all’Anticorruzione: e se avesse ragione Gian Antonio Stella?

Scritto da Mauro Malafronte Il . Inserito in La Bufala

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Un uomo solo al comando, ma senza timone. A questo sembra ridursi il ruolo di Raffaele Cantone all’Autorità Anticorruzione conferitogli tre mesi orsono. Nel gioco dei rimandi tra Camera e Senato pare impantanarsi anche il decreto legge che dovrebbe attribuire nuovi poteri al magistrato impegnato nella lotta contro la corruzione.

Fuori tempo massimo anche il mandato speciale riguardo lo scandalo Expo, rispetto al quale, diciamoci la verità, non si è capito nemmeno come si potesse realmente intervenire: a problema esploso son tutti più puri. Eppure la sensazione netta è che Raffaele Cantone inizi ad avvertire un disagio, un presentimento che ci eravamo permessi di ribadire nei giorni immediatamente successivi alla nomina: un ruolo cruciale senza poteri è un paradosso non traducibile all’estero, dove si è soliti prima definire i compiti, poi tutti il resto. “Mi fido solo di Renzi”, ha dichiarato poche settimane fa, ed è più che un segnale. E’ un messaggio in bottiglia che si speri arrivi a mille miglia di distanza, perché il rischio è che, nel fare i conti senza l’oste, ci si sia dimenticati che siamo in Italia, siamo italiani, e che, tutto sommato, cambiare verso va bene, è persino di moda, ma pur sempre con moderazione.

La “solitudine del commissario”, così l’ha definita sul Corriere della Sera Gian Antonio Stella, forse la penna più acuta che il decadente panorama giornalistico nazionale possa esprimere. L’idea malsana della foglia di fico, del parafulmine, si sta facendo spazio nelle pieghe del dibattito pubblico: il commissario spedito all’Anticorruzione, “un guscio vuoto”, almeno per ora. Il decreto c’è, non c’è, ci sarà, c’è stato, è morto, è vivo, è risorto, e nel frattempo passano i giorni, le settimane, i mesi. Siamo fermi, inesorabilmente legati alla nomina di Cantone e al suo mandato speciale sull’Expo. Un commissario a giochi fatti, un controllore di ciò che è stato già scoperto, senza possibilità di intervento effettivo, senza la possibilità di incidere realmente sulle dinamiche economico-criminali che sconquassano l’opera pubblica più insignificante d’Europa che, in perfetto stile italico, abbiamo prontamente strappato alla “potenza” economica e politica dell’ amica Turchia. Stella scrive di una vera e propria “ ragnatela di quello che Charles Dickens chiamava il Ministero delle Circonlocuzioni dedito a immischiarsi di tutto perché nulla si muova, che si è andata via via tessendo fino ad avvolgere con morbide tenaglie ogni svolta riformatrice. Ma chi è, il ragno? Meglio: quanti sono, dove sono, che volto hanno i ragni che con sottile e pignola pazienza sembrano voler infiacchire gli sforzi contro i corrotti? È questo che Cantone non capisce. Questo che lo intimorisce. Fino al punto di fargli confidare agli amici di avere quasi più paura di questi oscuri tessitori che dei camorristi. Dei Casalesi, dopo anni di sfida frontale, sa tutto. Sa come ragionano, come si muovono, come puntano i nemici. Dei ragni annidati negli interstizi della cattiva politica, della cattiva amministrazione, della cattiva burocrazia, non sa niente. O quasi niente. Ed è difficile combattere un nemico invisibile. Anche se si sa di avere il consenso di tantissime persone perbene.”

Non è vero! Si strumentalizza, si attacca a vanvera, si è cattivi maestri di studenti modello, gridano i peracottari di regime, che ,dalla corte di Arcore, hanno repentinamente traslocato, ricercando nel proprio albero genealogico lontane parentele toscane: renziani più e prima di Renzi, rottamatori dell’ultimo secondo utile pronti ad immolarsi sull’altare del 41% incassato alle elezioni europee. La difficoltà di stanare quei “ragni” è una delle poche certezze che stanno accompagnando la nuova avventura istituzionale di Raffaele Cantone. Stella richiama all’ordine, alla necessità di rimettere insieme i tasselli di una storia che sta sfuggendo dalle mani dei suoi protagonisti, perché il dibattito pubblico è questo, un perenne tentativo di parlar dell’emergenza che si è verificata ieri l’altro, senza una sola parola, un solo gesto, un solo spunto sul domani. Le ultime dichiarazioni pubbliche di Cantone, rese per la prima volta in audizione parlamentare, sono state una via crucis, un’immane elenco di cose che non vanno e che sono da cambiare, a partire dal sistema delle SOA (società organismo di attestazione): “Una scelta sbagliatissima. Sono poche e fanno solo controlli formali, non vedo perché questi controlli non possano essere fatti in modo oggettivo e automatico direttamente dalla banca dati sui contratti pubblici. Questo sarà oggetto di una mia precisa proposta di modifica normativa.”
Il dubbio rimane, quella sensazione strana di vedere terribilmente fermo quanto doveva invece mettersi in moto, forse per la prima volta, in modo rapido ed efficace, è viva più che mai. Andiamo a rilento, ancora una volta. Forse ha ragione Gian Antonio Stella, “la solitudine del commissario” è l’unica cosa che si può scrivere, l’unica che abbia senso, l’unica che meriti di essere raccontata. Vengono in mente le parole, figlie di un triste presagio, pronunciate dal Generale Carlo Alberto Della Chiesa, mandato a Palermo con “pieni poteri” per far fronte all’emergenza mafiosa dopo l’omicidio di Piersanti Mattarella: “ Pieni poteri? Sono qui, chiuso nella mia stanza con un telefono che non suona mai. Dove sono questi pieni poteri?”