Il suicidio assistito, una battaglia di libertà?
Un anno fa Lucio Magri si suicidava all’età di 79 anni in Svizzera (un suicidio assistito in una clinica specializzata): non ce la faceva a continuare a vivere. Le ragioni, da quanto è stato riportato dagli amici, erano collegate alla scomparsa della sua compagna Mara, per un tumore, e alla considerazione di non essere più in grado di dare un contributo alla deludente politica di inizio secolo.
Una decisione meditata a lungo, non era la prima volta che si recava in Svizzera, l'aveva già fatto una volta, forse due. Però era sempre tornato, non convinto fino in fondo. Aveva organizzato tutto da solo, raggiunto da un amico medico si era fatto assistere per chiudere la sua esistenza. Aveva organizzato anche il funerale; tutti sapevano: gli amici, la governante peruviana, rimasti a casa ad aspettare la telefonata del medico amico. L'ultimo viaggio è stato verso Recanati, dove è stato seppellito vicino alla sua Mara, nella tomba che lui con cura aveva predisposto dopo la morte della moglie. Magri in gioventù e non solo, era stato bello, affascinante. Aveva avuto successo, carisma, aveva avuto tantissimi amici eppure la morte della moglie e la sua fiducia immensa nel comunismo, un paradiso virtuale che si era dissolto, lo ha fatto sprofondare.
Rossana Rossanda, il tredici dicembre ha scritto sul Corriere della Sera:”C’è ancora qualcuno cui non basta vivere, deve vivere per un fine, e se il fine sembra smarrirsi preferisce andarsene”. Parole nobili, che lasciano trasparire però ancora una volta il mito della superiorità di certa intellettualità di sinistra. Rossana Rossanda nel tentativo comprensibile di riconoscere nobiltà al gesto di Magri, finisce con l’affermare che oggi ai più basta vivere, vivere senza un fine. Ma chi gli ha fornito una simile certezza, se non la presunzione? Per cercare di capire il gesto di Magri, per riflettere su quella scelta, bisogna tornare alla crudezza dei fatti e farlo, se possibile, in punta di piedi : Lucio Magri ha scelto di recarsi in un paese civile per cercare ciò che da noi non gli sarebbe mai stato permesso: un'assistenza, sicuramente piena di carità e di pietà umana, che lo aiutasse a porre fine alla propria sofferenza. in una di quelle cliniche che garantiscono la morte dolce a chi soffre. Poco importa se per tumori incurabili o per malattie mentali come la depressione. Per il legislatore svizzero non c'è differenza.
Magri voleva morire, e mentre non c’era nessuna autorevolezza affettiva capace di fargli cambiare idea, c’era e c’è un’associazione in grado di organizzare con efficienza la fine. Ci sono in Svizzera le roulotte della morte: dove preferisce che le facciano l’iniezione? Vista lago? O vuole guardare le montagne? Forse un boschetto è meglio? Vengono i brividi a immaginarlo, anche se resta il rispetto e il tentativo di comprendere la determinazione finale di morte, di quiete.
Non solo ci interroga ma ci lascia interdetti l’ospedalizzazione della morte, fare del medico non la persona che aiuta a guarire, ma che assiste e in un certo qual modo da la morte. Si può dire “prendersi cura di una persona” quando il fine non è accompagnare la persona e alleviare le sofferenze che spesso precedono la morte, ma assistere passivamente o partecipare attivamente chi pone termine alla propria vita? La tristezza dell’ultimo viaggio di Magri in Svizzera non sarebbe stata minore se fosse accaduto in una clinica vicino Roma, la tristezza di quel viaggio, in questo Rossanda ha ragione, è la tristezza di un uomo che non attende più nulla, di una vita che ha perso ogni speranza. L’uomo che non aspetta nulla dal futuro è un uomo che non crede in nulla nel presente. Vivere senza speranza è vivere senza futuro, costretti in una dimensione di attualità sempre identica a se, che ci preclude non il futuro ma il nostro presente.
Il suicidio assistito non può essere e non è una battaglia di libertà: la morte quando viene scelta, come in questo caso, a me appare come una sconfitta non solo per chi l’ha scelta ma anche per la società in cui si vive.