Moschea a Napoli
Guardo alla moschea a Napoli all’incrocio di due grandi famiglie di fenomeni collegati all’era delle migrazioni e alla globalizzazione del religioso. I grandi flussi di migranti dall’Africa pongono il problema di un atteggiamento che non li assuma come diversi da respingere, al più da tollerare o da accogliere passivamente con fastidio. Che assuma invece come punto asintotico l’ospitalità incondizionata teorizzata da Jacques Derrida.
E la globalizzazione del religioso come fenomeno di deterritorializzazione determinato dai cambiamenti spazio-temporali incrementati oltre che dalla crescita dei flussi migratori anche dall’esplosione delle tecnologie informatiche. In più per la religione musulmana il “religioso” si propone come luogo dello spazio pubblico particolarmente complesso a causa della molteplicità dei modi di appartenenza all’Islam, ma anche per i diversi modi di riconoscimento dei culti e d’istituzionalizzazione delle relazioni Chiesa/Stato e per le diverse forme della nozione di spazio pubblico. Va completamente superata la visione che si è diffusa in Occidente dopo l’11 settembre dei luoghi di culto islamici come spazi oscuri di ascolto e diffusione di discorsi antioccidentali, che ha generato in molte città una spinta a trasformare le moschee in centri culturali aperti all’ascolto non musulmano, per evitare di apparire nella veste di iniziative ostili alle istituzioni occidentali.
La costruzione delle moschee nella pienezza delle loro tradizionali architetture va colta come occasione per ripensare Napoli come grande spazio della gioia (della gioiosità dell’incontro tra diversi) da promuovere per accreditare la città come uno dei fuochi del Mediterranei più dinamici. L’idea di Napoli come uno dei fuochi del Mediterraneo personalmente l’avanzai nel 2004 nell’impostazione del Piano Strategico della prima giunta Iervolino, poi naufragato. L’idea della costruzione di spazi, luoghi della gioia l’ho proposta pochi giorni fa in una delle consultazioni promosse dal Comitato per Piazza Plebiscito per un uso condiviso dello spazio pubblico. Ho suggerito di sostenere una vasta iniziativa di condivisione mediterranea, che aspiri ad agire sulle diverse città del Mare Nostrum per una rigenerazione che collochi le differenze religiose, etniche, sociali in punti attualmente indifferenziati delle città agendo in maniera creativa.
E questo, immaginando il Mediterraneo come grande spazio della gioia, espressione di un’ospitalità incondizionata. E Piazza Plebiscito come spazio dove alternare durante l’anno due modi di fruizione. Uno che segua la sua destinazione tradizionale, ripulendo il luogo e favorendo la sosta con destinazioni coerenti sotto i portici dell’emiciclo della chiesa di San Francesco di Paola. Un secondo che inneschi processi di espressività artistica in chiave partecipata, iniziative creative (arte figurativa, musica, teatro, poesia), orientando operatori sociali, cittadini, scuole, associazioni a organizzare l’incontro delle culture, delle tradizioni, della creatività dei migranti. Moschea e piazza Plebiscito rivitalizzata possono essere viste come parti di uno stesso progetto.