Eleanor Rigby e le capuzzelle
Ah, look at all the lonely people
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All the lonely people, where do they all come from?
All the lonely people, where do they all belong?
(The Beatles, Eleanor Rigby, 1966)
Guardavo al cinema Still Life, uno straordinario film che –senza alcuna retorica- parla di umana pietas e di spietatezza del destino nel nichilismo compiuto della indifferenza sociale contemporanea, e mi veniva in mente Eleanor Rigby, e la Spoon River di E. Lee Masters, e pensavo a come, sempre e dovunque, la morte possa consolare la solitudine dei vivi. A patto però di credere nella vita oltre la vita, che è il Mito possente che da millenni riempie di senso il dolore e l’angoscia dell’essere mortali. Capace di far entrare in corto-circuito Reale e Immaginario, sostanza ed apparenza, “il mito torna sempre sui suoi passi. Ma non tutti lo riconoscono a prima vista. Soprattutto in una società come la nostra..” dove, a fare da “...comun denominatore è l’idea che il mito sia sempre e comunque un difetto di conoscenza, una falsa credenza, un’opinione infondata. Insomma un default della ragione. Ma se è vero che il mito è solo un’opacità della mente, una fuga dalla realtà, viene da chiedersi perché, da che mondo è mondo, nessuna società riesca a farne a meno.” E’ Marino Niola ( su la Repubblica del 10 maggio 2012) a svolgere, con la consueta acutezza, stringenti considerazioni sulla permanente attualità del Mito, e che così prosegue: “ il fatto è che mitologia e razionalità sono due metà inseparabili del pensiero, due modi complementari di interrogarsi sul mondo e sulla vita [….] raggiunge la mente passando per il cuore, le emozioni, le passioni .” Ancora, riprendendo Levi-Strauss “ non siamo noi a pensare i miti, ma sono i miti a pensarsi in noi.” “La mitologia non è dunque l’eclisse della ragione, ma piuttosto il suo necessario controcanto. E’ la scatola nera dell’essere”.
L’approccio del mito alle problematiche umane (urbane) ha sempre qualcosa di spiazzante, di straniante: segna una presa di distanza da ciò che sembra evidente alla nostra mentalità di moderni. Consideriamo, ad esempio, la mitologìa legata al tema della morte. La morte è, per noi, ciò a cui non si può e non si deve pensare. Jean-Pierre Vernant, il grande studioso del mito greco, dice proprio così : l’ impensable. La cultura moderna ha prodotto l’idea che ogni uomo è unico e insostituibile. Il mito /la mitologia aiuta ad avvicinarsi al tema sotto la veste di un racconto, di una bella storia (…e quante straordinarie storie i napoletani hanno prodotto, praticando e “narrando” il culto dei morti! ). Dunque il mito ha una sua strategia nei confronti del problema della morte : invita l’uomo a considerare se stesso nel gioco delle relazioni e nei rapporti con il mondo e con l’Altro, persino con il mondo della metafisica, se ci crede.
Se fosse possibile immaginare e redigere per le città un “Atlante delle memorie”, una certa area di Napoli - l’area di Poggioreale con i suoi Cimiteri, le 366 Fosse, ma anche le cavità delle Fontanelle– sarebbe da indicare come il Luogo delle memorie personali dei napoletani, delle loro memorie più profonde e intime. Ma queste, essendo raccolte comunitariamete e collettivamente nello stesso sito, rappresentano di fatto il luogo principale della memoria e del Sacro nella Città, intesa questa come umanità associata tanto nei vincoli dei sentimenti e degli affetti quanto nei riti e nei culti che –anche nella loro ricorrenza più convenzionale- servono agli uomini per rigenerarli e rinnovarli nel ricordo. Nella pietas umana per chi ha vissuto e più non vive, ma che non si vuole abbandonare all’oblìo, vige il senso del Sacro e la permanente pienezza del Mito della vita oltre la morte, che da sempre scorrono nel flusso profondo della vita autentica della Città. Proprio nelle sue parti che sembrano più reiette e abbandonate l’”essere città” ritrova così i motivi di una rigenerazione necessaria.