Megaride
Là dove il mare del Chiatamone è più tempestoso, spumando contro le nere rocce che sono le inattaccabili fondamenta del Castel dell'Ovo, sorgeva un'isola larga e fiorita chiamata Megaride o Megara (che significa "grande" nell'idioma della Grecia).
Quel pezzo di terra si era staccato dalla riva Platamonia ma non s'era allontanato di molto, quasi che il fermento primaverile passasse dalla collina all'isola come la bella stagione coronava di rose e fiori d'arancio il colle; così l'isola fioriva tutta in mezzo al mare, come un altare elevato alla dea Flora. L'isola si racconta fosse abitata nei suoi canneti e nei suoi cespugli verdi dalle Nereidi e dalle Driadi, ma si narra che Lucullo, il forte guerriero, amico dei letterati e primo fra gli Epicurei, abituato a soddisfare ogni capriccio amava le ville circondate dall'acqua. Egli era mortalmente stanco della sua splendida casa di Roma, della sua villa di Pompei, di Tuscolo; volle quella di Megaride. E l'ebbe. Così egli violò la dimora delle ninfe oceaniche per farsene la propria dimora. Così egli volle per sé i prati, i boschi di rose, i margini che digradavano lievemente sul mare; scacciò le sirene e le sostituì con le sue bellissime schiave. Fu un pianto per le grotte di corallo tra le alghe verdi, e le ninfe si lamentarono con Poseidone, che non diede loro ascolto. Fu costruita la magnifica villa e nei vivai vi guazzarono le murene dall'orrida testa di serpente e la carne delicata; nelle uccelliere saltellarono i più rari uccelli, pasto di stomachi finissimi e suonarono cetre e tiorbe in onore di Servilia, moglie di Lucullo, la più bella fra le donne romane. Tra questi fasti accorrevano per riscaldarsi alla luce degli occhi di Servilia i gagliardi garzoni, la cui parola superava di audacia anche lo sguardo, ed i vecchioni che sospiravano la gioventù; così Servilia rideva, lusinghiera e crudele come una sirena, e Lucullo, placido filosofo, e ancor più placido sposo, godeva dei trionfi di Servilia. Egli amava le feste sontuose, i pranzi lunghissimi; egli amava conversare con i letterati cui donava vasi d'oro ed animali preziosi. Servilia saliva la china ridente del piacere, ed egli discendeva tranquillo verso la pace della vecchiaia. Per divertirsi faceva scavare un canale d'acqua viva, faceva levare una palazzina, scacciava lontano il mare allargando i limiti dell'isolotto di Megaride. Servilia così prendeva i bagni di latte d'asina; ella era nel trionfo della bellezza e della gioventù, ma il mare batteva dolcemente sulle sponde di Megaride e non osava tumultare, così Servilia, distesa tra le sue lenzuola fremendo di piacere alla brezza marina lasciandosi sventolare dalle schiave, mormorava: "Sono io, sono io la sirena". Ella è bella come Flora nel sollevare un fascio di fiori; quando sceglie in un cestello una pesca matura è bella quanto Pomona, e quando porta sui capelli la brillante mezzaluna ed al fianco la fianco la faretra è bella quanto Diana. Le sue parole sono presto udite dalle attente ninfe oceaniche, e Venere sa che Servilia l'ha offesa, e Poseidone questa volta da ascolto alla preghiera della sua bella amante; piansero le Nereidi, piansero le Sirene, Venere fu offesa e Poseidone andò in collera. Servilia ride e gorgheggia, Lucullo è alla sua villa di Roma, ma il mare rumoreggia sordamente, la terra si scuote, un orribile scricchiolio si ode, un grido feroce sale al cielo, le onde sorgono in tempesta e l'isola di Megaride scompare nel vortice delle acque, inghiottita con la villa, coi giardini, coi vivai ed i canneti, con la bellezza e l'orgoglio di Servilia.