Di vigna e di terra, di modernità e di radici: ecco perché il vino ci salverà
Snocciolare i dati, stavolta, non serve. L’Italia se la gioca con la Francia, ormai si sa: siamo tra i primi esportatori di vino al mondo. La vigna è il fulcro di un’economia vera e tangibile, dunque. Il vino crea lavoro, finalmente e sempre di più anche nel nostro amato meridione.
Oltre i più noti colossi, infatti, una schiera di medie e piccole aziende produttrici stanno via via affermandosi sul mercato nazionale ed internazionale. Respira soprattutto l’entroterra, che sta conoscendo una nuova vita: pensiamo all’Irpinia che, dopo i disastri del terremoto, è riuscita a collocarsi sulla mappa mondiale del vino proprio grazie alla poderosa espansione della sua filiera vitivinicola. Questa, però, non sarà un’analisi economica e finanziaria del fenomeno enologico: chi cerca questo, vada pure. Sommelier, grandi esperti, intenditori veri o presunti: non facciamo per voi, perdonateci. Quindi, cari lettori, chiariamoci: saremo a-tecnici, ma sinceri.
Proviamo, allora, ad individuare due momenti o, meglio, due dimensioni del vino: una conviviale ed una territoriale. In merito alla prima, ovviamente, ci riferiamo alla condivisione, alla possibilità di ricostruire un clima famigliare che ci riporti sulla terra, alla realtà delle relazioni e dei rapporti umani: aprire un buon rosso può essere l'occasione di una rimpatriata tra vecchi amici, tra nuovi conoscenti, tra cugini lontani o tra fratelli. Non solo Natale o altre feste da calendario, dunque: il momento conviviale può diluirsi nel corso dell’anno, può ripetersi con una più salubre frequenza. Ed è un momento di inclusione,che offre calore e non isola. Chi di noi non ha subito, da vittima incolpevole, il raccapricciante isolamento tipico delle cene di ultima generazione? L’invasione dei social tra un boccone e l’altro si può sconfiggere con un calice ed un decanter, forse: una sorta di cura omeopatica contro l’insensata voglia dell’altrove virtuale.
La territorialità, invece, si esprime nella ricerca e nel percorso che accompagna il gesto del bere. La visita in cantina, l'odore della vigna, l’assaggio dell’uva nelle settimane della vendemmia sono un retroterra straordinario per cogliere la bellezza che è ad un passo dalle nostre città. Il vino inteso come viaggio e ricerca, dunque, è un modo per riscoprire le nostre radici e la nostra terra, le sue miserie e le sue incommensurabili potenzialità. Ogni week end un numero sempre maggiore di italiani scappa dall’Italia cittadina o metropolitana, per riscoprire un’Italia diversa, naturale e non sfigurata nei suoi paesaggi più belli: una fuga dall’Italia all’Italia, come scrive Marcello Veneziani. Tutto in direzione ostinata e contraria rispetto alle fluttuanti vinerie cittadine, più o meno improvvisate: megastore senz’anima, senza storia e senza cultura.
Non facciamoci ingannare, infine, dall’esasperato tecnicismo che ruota intorno al vino: vista, olfatto e gusto vanno certamente allenati. Non stuprati, però.
La conoscenza del vino non può limitarsi alle equazioni chimiche, all'evoluzione tecnica che ne ha stravolto le modalità di produzione: occorre conoscere il territorio, la sua storia, le sue debolezze e le sue peculiarità. “Terroir”, ma non in senso semplicemente chimico e meccanico: il “brand vino” attira l’estero perché racconta le nostre radici e la nostra identità. La sua forza, secolare in tutta la penisola, risiede in una tradizione dinamica e non frutto dell’indolenza. Una visita in cantina, infatti, è un viaggio nella storia di una famiglia di viticoltori: una storia legata al futuro, che guarda in avanti e alle prospettive di sviluppo, che ri-conosce il valore del lavoro e del passato, della fatica e delle radici. Chiacchierare con un produttore e trascorrere con lui del tempo, infatti, significa percepire l’impegno che c’è dietro il semplice (per noi) gesto del bere. I più anziani sono archivi storici di un territorio, di un paese, di una comunità. Il loro sapere è sintesi di molti saperi, è modernità insita nelle radici, è identità traghettata nella contemporaneità. I più giovani sono portatori sani di italianità nel mondo, a qualunque latitudine. Sono “eredi gravidi”: prima allievi, poi maestri del vino, nel segno della continuità.
Ed è questo, in fondo, che più amiamo del vino: le sue due dimensioni, la semplicità del gesto e la complessità della terra.
L’avevamo promesso: a-tecnici, ma sinceri.
Prosit.
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