Il Pd e la scissione: il cuore altrove (per fortuna)
Che la scissione si potesse preventivamente “scindere”, lo avevamo capito domenica, dopo l’intervento a sorpresa di Emiliano in Assemblea. L’opera di mediazione di Franceschini ed Orlando è parzialmente andata a buon fine: i due sono sembrati i più attenti a ricucire lo strappo con il Governatore. Così è stato. Da domenica a martedì (giorno della Direzione), una contraerea di comunicati, agenzie, dichiarazioni, ospitate in tv, maratone varie ed eventuali di Mentana, ma, alla fine, Emiliano è dentro: si candida a Segretario del Partito.
Ora, restano aperte questioni attinenti alle tempistiche. Cuperlo, con il friggidume e l’eleganza che lo contraddistinguono, ha riproposto in Direzione il “rinvio estivo”: tutti assieme alle amministrative e primarie a luglio. “Così, se si perde alle comunali, siamo tutti colpevoli”, ha dichiarato rigido e puro. Realisticamente, le cose andranno in modo diverso: primarie ad aprile (linea Renzi) o entro la prima decade di maggio. Quest’ultimo potrebbe essere il compromesso vincente, in quota Orlando-Franceschini.
Dunque, scissione, seppur piccola piccola, sarà. O, almeno, pare. Meglio andarci cauti, perché lo spettacolo (pessimo) cui stiamo assistendo potrebbe non essere ancora finito: con le elezioni politiche più o meno alle porte, in molti si giocano la poltrona. Tutto, infatti, è reso ancor più nebuloso dal valzer intorno alla legge elettorale, perché con ogni probabilità il 4 dicembre ha segnato un punto di non ritorno: proporzionale e “bentornata prima Repubblica.”
Eppure nella galassia democratica, quella in cui ogni piccola stella assurge a Sole, qualche appello di buon senso è stato lanciato. “Non chiamatelo futuro”, ha chiarito Veltroni nel suo intervento in Assemblea. Accorato il suo discorso, denso di significato ed inquietudine quando ha ricordato la serie di piccole o grandi scissioni che hanno dilaniato la Sinistra italiana negli ultimi 25 anni. Di cuore, come è nel suo stile. Anche Romano Prodi è stato piuttosto netto: “Nella patologia umana c’è anche il suicidio”, ha dichiarato in riferimento alla scissione del Pd.
La sensazione è che occorre ripartire. Se non al più presto, di certo non abusando della pazienza di elettori e militanti. Dietro il teatrino, oltre le logiche della più insensata guerra di mini-potere degli ultimi anni, c’è un partito lacerato da ricostruire sulle macerie del post referendum. In taluni casi, Napoli in primis, il partito va ri-fondato, come testimoniano le “liste-trappola” del Governatore De Luca. Serve più cuore. Forse non ora, perché troppi sono gli interessi in ballo. Forse non subito, perché delle partite vanno chiuse, per poter guardare al futuro con occhi nuovi. Ma serve più cuore, caro Pd.
Si modificheranno le regole? Va bene. Nella Commissione atta a far questo, si inseriranno componenti in quota Emiliano? Va bene. Primarie spente, primarie ingessate, primarie vuote non servono a nessuno. Men che meno a Renzi che, in caso di affluenza-flop, si troverebbe ad incassare il secondo autogol-elettorale consecutivo, dopo la batosta referendaria. Orlando ha addirittura chiamato a raccolta gli intellettuali, rischiando il linciaggio per “illegittimo masochismo.” Di certo qualcosa di diverso, nel cuore prima che nella testa, dovrà nascere da questa fase del Partito Democratico. La “generazione under”, quella che talvolta ha prodotto linfa vitale per il partito, è forse più avanti dei suoi leaders in tal senso: è stato un errore, infatti, impedire ad un rappresentante dei Giovani Democratici di entrare a far parte della Commissione congressuale. Un controsenso, una esclusione inutile ed improduttiva, una scelta che non tende la mano a coloro che devono avere il coraggio di pesare con entrambe le mani il futuro del Partito: un pezzo di quel cuore mancante è probabilmente lì, in quella generazione così tanto bistrattata.
Oltre le correnti, prima delle divisioni e delle spartizioni pre e post elettorali, infatti, il Pd deve tornare a parlare al Paese. Anzi, deve ricominciare a parlare del Paese: il cuore è altrove. E’ sacrosanto, infatti, rivendicare la diversità. E’ legittimo confrontarsi per cambiare, ma si torni al buon senso. Avere un partito, avere “senso del partito” a volte non basta, perché fuori il mondo va avanti. C’è vita oltre la punta del proprio naso. Meglio ricordarselo, di tanto in tanto, perché il “senso del partito”, senza il buon senso, è il più classico degli errori di una sinistra che avremmo voluto dimenticare. La sindrome della scissione è malattia diffusa ed atavica, ma, se in passato faceva arrabbiare, sbraitare, abbattere, oggi sa solo di ridicolo. Di vecchio. Una scissione fuori tempo massimo. Parafrasando Longanesi: una scissione in ritardo di un anno, di una decade, di un’idea.