fbpx

Il PD tra tessere e sondaggi: il boomerang della legge elettorale

Scritto da Mauro Malafronte e Riccardo Buonanno Il . Inserito in A gamba tesa

sondaggi primarie PD congresso

Ormai ci prendono parzialmente, talvolta falliscono deliberatamente, più raramente leggono perfettamente lo scenario. Eppure si è lì, ogni settimana, ad attendere con ansia di leggere i soliti sondaggi. L’esperienza dovrebbe insegnare che è quantomeno avventato lanciarsi in analisi politiche con un margine d’errore del 4%. Si finisce senza accorgersene per generare discussioni sul “+1.5% della Lega nell’ultima settimana”: il tutto a favor di telecamere ed in ossequio ad un vero e proprio “feticismo delle percentuali.”

Come comportarsi, però, se ad indirizzare le vicissitudini interne al PD fossero indirettamente proprio sondaggi e simulazioni nella distribuzione dei seggi? Al momento, Camera e Senato hanno due differenti leggi elettorali, solo apparentemente in armonia tra loro e con anomalie nel reclutamento del ceto politico. Intanto, il “Mattarellum” giace mestamente in un cassetto della Camera, depositato nel bel mezzo del caos politico successivo al 4 dicembre. Stando alla legislazione vigente, i deputati saranno eletti mediante un proporzionale con distribuzione dei seggi in base ai suffragi su territorio nazionale, diviso in 100 collegi plurinominali con capilista bloccati, listini con preferenze a supporto e sbarramento al 3%. Per quanto riguarda i senatori, invece, la ripartizione dei seggi è su base regionale; si prevedono liste con preferenze, ma con sbarramento all’8%. Tralasciandone la schizofrenia, le due discipline, giunte allo studio ossessivo dei sondaggi come mezzo d’indagine dell’elettorato, aprono la scena alle paure meno confessabili della classe politica. Ansie che risultano giustificate se, come sembra, il Partito Democratico parrebbe destinato a perdere più di un centinaio di deputati nella prossima legislatura e ad eleggerne più della metà come capilista. La minoranza l’ha intuito, anticipando tutti con la folata di scissionismo.

Colpa del proporzionale? A dirla tutta, proporzionali, anche se corretti, lo erano anche le due precedenti leggi elettorali. Il desolante quadro delineato pare piuttosto, tra le altre cose, la conseguenza del venir meno della concreta speranza di raggiungere la soglia del 40%, al ricorrere della quale scatterebbe il premio di maggioranza. La censura di incostituzionalità, ad opera della Consulta, della correzione maggioritaria (tramite ballottaggio) ha mostrato un paradosso tutto interno al Partito Democratico. In teoria, un proporzionale del genere dovrebbe aumentare la coesione ed il fattore identitario nelle varie forze politiche. Il conflitto si sposterebbe, dunque, verso l’esterno, muovendosi l’organizzazione interna su basi più consensuali. Questo PD, seppur dimezzato, è uno strano incrocio. E, nel momento del restringersi delle opportunità, vede inasprirsi il conflitto interno alle federazioni locali, tra fazioni e personalismi contrapposti. Troppe teste per così poco spazio e nessuna voglia di mediare: eccolo, il cocktail mortale.

É in tale scenario, allora, che vanno collocati gli ennesimi casi dei tesseramenti drogati. Scalare il partito, infatti, rimane il mezzo più agile per garantirsi una rendita parlamentare. Senza uno straccio di idea, senza una visione e senza una minima riflessione sul programma, ma con un bel pacchetto di tessere: pare questo il prototipo della nuova, ma vecchissima, carovana piddina. Una folle corsa verso l’insignificanza politica, come dimostra il caso emblematico del Pd napoletano. Qui, infatti, tra tesseramenti veri o presunti, tra pugnalate e finti sorrisi si è consumata la dis-integrazione del partito, in combutta con il colpevole silenzio dei dirigenti nazionali. Il peso politico all’interno della galassia democratica, dunque, dati gli incastri congressuali e le scadenze elettorali, si conferma essere frutto di una lottizzazione mediante “tesserificio”, talvolta preventivata a tavolino tra aree e micro-correnti personali, storicamente abilissime nel contarsi. E’ questo il trip in cui ripiombano i circoli locali ed i militanti a cadenza quadriennale.

Eppure tutto, o quasi, passa da quei numeri. Tutte le giravolte, tutti i carpiati (scissioni incluse) sono più o meno diretta conseguenza di un sistema elettorale ad uso e consumo dell’ingovernabilità. Ed è questo l’unico vero gorgo, l’unico vero groviglio dentro il quale si stanno macerando vecchie e nuove ostilità. L’ennesimo autogol post referendario, dunque, si dipana in un sistema elettorale che, statene certi, farà più danni di quanto si possa immaginare. Danni collaterali, latenti. Danni che impediranno di competere ad armi pari nella bagarre elettorale. Al contrario di quello che molti pensano, questo è il proporzionale più squilibrato di sempre, il più “impuro”: è il colpo di coda di una politica ancorata all’oggi, senza coraggio né visione. Una “politica dei sondaggi”, che mutua da questi ultimi il senso e la direzione delle proprie scelte, è una politica micragnosa, risibile, ontologicamente mediocre. Ed è questa la cornice in cui ci si sta muovendo, dentro e fuori il Pd.

Tutto, ovviamente, rigorosamente a discapito della classe politica di domani. Ed allora meglio abbozzare, dissotterrare le asce di guerra, dimenticare vocazioni maggioritarie più o meno rinnegate. I sondaggiofili hanno lanciato l’osso e per la politica è iniziata la corsa contro il tempo. Ed il buon senso.