Il Lingotto e l’ambizione di ripartire
Ambizione. È forse questa la parola chiave della tre giorni torinese. E non è una brutta parola. Muscat, primo ministro maltese e Presidente di turno del Consiglio dell’Ue, l’ha usata con cura ed intelligenza nel suo intervento. La verità è che si è giocato a carte scoperte, dopo il periodo difficile che ha caratterizzato il post 4 dicembre. Matteo Renzi ha indicato la strada che intende percorrere, nonostante le ferite di questi mesi.
Il Lingotto è stata l’occasione per tagliare i ponti con le polemiche e l’orgia manettara che pervade l’Italia. È parsa evidente la volontà di tornare a ragionare su quello che si è fatto e su quelle che sono le prospettive del Paese.
Una tre giorni di ascolto e di riflessione sugli errori che sono stati commessi nella stagione dei “mille giorni.” Vari, diversi, tutti pagati a prezzo carissimo. Tuttavia, prima di parlare di noi, del pettegolezzo politico o giudiziario del momento, si è parlato di Europa. Nell’anno del voto francese e tedesco, Renzi ha riproposto con forza la “partita europea” come il vero tavolo su cui tornare a battersi. Un’Europa debole, poco politica, poco unita. Un’Europa che, pure se ad un passo dalla implosione, resta la più grande delle opportunità. L’idea di primarie transnazionali per l’elezione diretta del prossimo Presidente della Commissione Europea è la sfida politica dei prossimi anni, la più importante e decisiva. Come ha detto Emma Bonino sabato mattina, “in politica bisogna conciliare valori ed interessi”: la difesa dell’Unione europea è certamente uno di quei casi in cui i nostri valori si conciliano a pieno con i nostri interessi. Migrazioni, globalizzazione, investimenti, rapporto tra nuove tecnologie e lavoro: tutto ruota intorno alla dimensione europea. A patto che si cambi, però. Renzi vicino ad Emmanuel Macron, dunque. Occorre non chiudere gli occhi ed offrire risposte alle paure, evitando che queste ultime restino paure di una sola parte, impedendo che queste vengano fagocitate dalle ricette vuote dei populismi. L’ambizione, allora, è quella di continuare una stagione di riforme, ma meno bulimica. Un “riformismo permanente”, che metta a sistema l’ordinarietà delle emergenze ed una visione complessiva del Paese e delle sfide che abbiamo davanti.
Sono stati “giorni veri”, in tutti i tavoli di lavoro. A coordinare il tavolo “Crescita, Modelli di Sviluppo e Mezzogiorno”, sono stati i deputati Leonardo Impegno e Vinicio Peluffo ed il professore Marco Simoni. È stata l’occasione per ascoltare istanze, proposte ed intuizioni, oltre che critiche. Quel che è emerso, in fondo, è una visione politica di respiro più ampio, che guarda finalmente alla nostra terra come una immensa opportunità e non una palla al piede. “Se cresce il Sud, cresce l’Italia”, e stavolta non è solo una boutade. Lo dicono i numeri impietosi, ma sinceri. Ricollocare il Mezzogiorno nell’agenda politica nazionale è stato il primo passo, dopo gli anni del silenzio e dell’indifferenza. I temi, alcuni dei quali atavici, non consentono più rinvii o slogan: servono interventi di sistema, ragionati, differenziati. Bene i “Patti con le Regioni”, ma non bastano. Occorre fermare l’emorragia di energie ed intelligenze di cui il Sud sta morendo: oltre 700 mila emigrati, di cui il 40% sono giovani laureati. Ed allora defiscalizzare tutte le forme di lavoro, compreso quello autonomo, è una possibilità concreta per sostenere l’occupazione giovanile al Sud. E non solo. Investire in un grande polo di ricerca nel Mezzogiorno, sul modello dello “Human Technopole” di Milano, è una sfida da raccogliere. Creare nuove sinergie tra il mondo della ricerca e quello del lavoro deve essere l’orizzonte delle prospettive di sviluppo per il Sud. I nostri talenti vanno trattenuti, o spinti a ritornare. Investire nel capitale umano, infatti, resta una scommessa vincente che “produce valore.” Anche l’urbanistica, se eterodiretta, può essere strumento di nuovo sviluppo: riqualificare intere aree degradate o abusive sarà la vera partita in diverse zone del Mezzogiorno.
Ovviamente, è l’accesso ai fondi europei il nodo da sciogliere: ad una progettazione frammentata e di scarsa qualità, le classi dirigenti del Mezzogiorno devono rimediare al più presto. Va ricucita quella “relazione incompiuta” tra Sud ed Unione Europea, perché è con quei fondi, con quegli investimenti che sarà possibile incidere sulla carne viva delle ferite che attanagliano i nostri territori. In tal senso, sarà fondamentale capire quali sono gli “spazi di manovra” sulla PA: occorre modernizzare il pubblico impiego, è necessario aprire, per quanto possibile, le maglie dei concorsi ed attrarre nuove risorse ed energie. Nuovi profili, nuove competenze devono al più presto entrare nella macchina amministrativa e ridarle un senso compiuto: la PA, specialmente al Sud, non può essere ancora un ostacolo allo sviluppo. Infine, è la prospettiva turistica a dettare i tempi e le scelte. “Un Piano Industriale Straordinario per il Turismo”, che metta a sistema limiti infrastrutturali e opportunità di occupazione e crescita, è una assoluta priorità. Il Mezzogiorno inteso come “cuore caldo” d’Europa è già una realtà, e lo dimostrano i flussi turistici che sempre di più premiano il nostro Paese.
Ambizione, dunque. E’ questa la serratura attraverso cui osservare le sfide politiche che abbiamo davanti. Il Lingotto ha nuovamente posto al centro del vocabolario politico del Partito Democratico la parola “Ambizione” e non è tracotanza, non è un limite caratteriale di un singolo leader o di una corrente più o meno grande, non è utopia. È l’ambizione di cambiare, per ritrovarsi. L’ambizione di governare, per continuare ad incidere. Mai come ora, quest’ambizione ci tiene in vita.