Napoli, il diritto internazionale umanitario ed il boicottaggio di Israele
Il diritto internazionale umanitario, anche definito come diritto dei conflitti armati o diritto internazionale bellico (ius in bello), secondo la dottrina si applica unicamente in caso di conflitti armati internazionali e non internazionali e mira a disciplinare la conduzione delle ostilità ed a proteggere le vittime dei conflitti armati. A Napoli, una rinnovata attenzione al diritto internazionale umanitario è rappresentata dal paventato boicottaggio di Israele da parte del Comune di Napoli.
L’occasione per avviare un dibattito sul tema si è presentata con il convegno "A Napoli il Mondo: recepire il diritto internazionale umanitario nella quotidiana pratica amministrativa", svoltosi nella sala del Consiglio comunale di Napoli il 16 marzo, organizzato dal Comitato BDS Campania (Boicottaggio, Disinvestimenti e Sanzioni contro Israele per libertà, uguaglianza e diritto al ritorno del popolo palestinese), che ha formalizzato alcune iniziative volte al recepimento del diritto internazionale umanitario nella pratica amministrativa. Il convegno ha lasciato uno strascico di polemiche tra gli organizzatori, esponenti dell’amministrazione comunale, la comunità ebraica ed associazioni varie, sollecitando anche l’interesse della delegazione nei rapporti tra Unione europea (UE) e Israele del Parlamento Europeo e l’intervento del vice-ambasciatore di Israele in Italia.
A Marco Fasciglione, ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) di Napoli, che è interventuto al convegno menzionato in qualità di esperto del tema business & diritti umani, abbiamo chiesto un parere giuridico circa il recepimento del diritto internazionale umanitario nella pratica amministrativa e circa la fattibilità di un eventuale boicottaggio.
«La questione giuridica, piuttosto complessa, coinvolge almeno tre livelli regolamentari: quello internazionale, quello europeo e quello nazionale, ma non andrebbe letta come boicottaggio di un Paese bensì come l'adeguamento della normativa sugli appalti alle evoluzioni in corso». Infatti, si tratterebbe del «processo di attuazione dell'obbligo degli Stati di assicurare attraverso le proprie normative interne, come ad esempio quella sugli appalti, il rispetto da parte delle imprese delle norme internazionali sui diritti umani ovunque esse operino. Questo implica altresì evitare che esse si rendano complici di violazioni statali del diritto internazionale umanitario».
Del resto, si tratterebbe di un «processo avviato dall'adozione dei Principi guida delle Nazioni Unite (ONU) su imprese e diritti umani del 2011 e dei Piani d'azione nazionale per l'attuazione dei Principi guida». L'Italia ha adottato il Proprio piano d’azione lo scorso dicembre 2016 che fissa, non a caso, l’obiettivo di elaborare il concetto di ‘clausola sui diritti umani’ «da inserire come requisito per le imprese che partecipano a gare pubbliche oppure come clausola dei contratti stipulati con le imprese per l’acquisto di beni e servizi e ciò, come sottolineato dal Piano d’azione, con particolare riguardo alle imprese italiane che operano all’estero, a quelle che si avvalgono di fornitori stranieri ed alle imprese straniere».
D’altronde, «le recenti riforme della normativa in materia di appalti pubblici, veicolate del recepimento delle direttive dell'UE già consentono alle amministrazioni aggiudicatrici nel valutare l’offerta economicamente più vantaggiosa, la facoltà di esigere condizioni particolari in merito all’esecuzione dell’appalto (che però è bene sottolinearlo devono essere collegate all’oggetto dell’appalto); queste considerazione possono includere quelle di tipo ambientale, sociale o relative all’occupazione». A tal fine, «il d.lgs. n. 50/2016, il c.d. Codice dei Contratti Pubblici, prevede la
possiblità di utilizzare il rating di legalità quale criterio premiale per la valutazione delle offerte nelle gare d’appalto. Si tratta di una prassi di notevole interesse ma che, tuttavia, è ancora poco utilizzata dalle amministrazioni pubbliche».