Napoli: mani sulla città
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale la città di Napoli venne trasfigurata prima dai bombardamenti alleati e successivamente dai danni provocati dai tedeschi in fuga. Furono moltissime le cicatrici inflitte al volto della città ma tra esse vanno sicuramente ricordate la distruzione della Basilica di Santa Chiara avvenuta a causa di uno spezzone incendiario nell’agosto del 1943 e la perdita delle documentazioni più preziose ed antiche conservate presso l’Archivio di Stato che venne bruciato dai tedeschi nascosti a riparo nella villa di San Paolo Belsito.
Le opere di ricostruzione si protrassero a lungo generando così opere di speculazione che stravolgeranno, ancora di più dei danni bellici, la città attraverso le opere di imprenditori e privati determinati a lucrare il massimo di rendita fondiaria e ad ottenere le provvidenze pubbliche.
Negli anni Cinquanta e Sessanta la connivenza politica del governo nazionale e delle amministrazioni locali degenerò in una feroce speculazione intensiva sulle colline della città, distruggendo il paesaggio e saturando ogni spazio verde con palazzine residenziali e mantenendo il vecchio sistema viario che si rivelò ovviamente fallace. Episodio edilizio passato alla storia fu quello del significativo ampliamento del rione Carità, dove venne eretto un grattacielo, sede della Società Cattolica di assicurazioni, che trasfigurò il paesaggio urbano della città.
Il fallimento più grande attribuibile all’amministrazione locale e nazionale fu quello dell’edilizia economica e popolare: il rione Traiano a Soccavo, i quartieri “167” a Secondigliano e Ponticelli vennero edificati nelle aree indicate all’interno del piano dell’amministratore Achille Lauro, ovvero nelle zone meno abbienti del territorio cittadino, creando in tal modo dei veri e propri quartieri di segregazione sociale simili ai ghetti. Luoghi alienati, aggravati da costruzioni utopiche e decontestualizzate come nel caso della realizzazione delle Vele di Scampia.
Nel 1958 il consiglio comunale venne sciolto a seguito di una serie di irregolarità riscontrate dal governo e pose fine al cosiddetto fenomeno del “laurismo”, palesemente rappresentato nel celebre film di Francesco Rosi che gli valse la conquista del Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia.
La vita della città vide il lento restauro dei monumenti danneggiati dalla guerra e la riapertura della Biblioteca Nazionale, la costruzione dell’Auditorium RAI e l’inaugurazione del nuovo Museo di Capodimonte. L’attività fu però interrotta nel 1980 a causa del terremoto, a seguito del quale l’incrollato sviluppo urbano non interessò solo il territorio comunale del capoluogo ma determinò una conurbazione estesa per chilometri e la cui speculazione interessò soprattutto i territori periferici e provinciali.
Nonostante ciò dal 1993 ad oggi è stato fatto tanto per ottenere risultati che risollevassero le sorti della città e la risanassero dai suoi antichi mali. Purtroppo il fenomeno della speculazione edilizia, affiancato alla collusione tra la criminalità e le classi dirigenti, si ripropone in maniera virulenta.
In fondo Napoli è sempre stata la città delle grandi contraddizioni politiche e sociali, basti pensare che essa è la stessa città che organizzò le Quattro Giornate (dal 27 al 30 settembre 1943) inserendosi alla testa della Resistenza europea ma al contempo fu anche la stessa che al Referendum sulla riforma istituzionale del 1946 votò con 348.426 voti la Monarchia a discapito della Repubblica.