Le banche, i prestiti non rimborsati, la politica dopo le elezioni
Con la conferma di Visco nella carica di governatore della Banca d'Italia il problema delle banche italiane appesantite da prestiti concessi a famiglie e imprese e in parte non rimborsati, è stato temporaneamente rimosso dall'attenzione dell'opinione pubblica.
Rimane tuttavia la domanda: com'è possibile che in alcuni territori del nostro Paese, specie al Nord e al Centro d'Italia, l'economia locale sta registrando buoni risultati con l'aumento del reddito e degli occupati e al tempo stesso le banche operanti in quelle aree sono gravate da crediti concessi alla clientela e non restituiti alla scadenza?
Di ciò si possono dare diverse spiegazioni. Una è che la ripresa economica renderebbe meno urgente il risanamento delle banche, la soluzione dei crediti cosiddetti incagliati. Dopo tutto, si dice, lo stato di salute delle imprese e delle famiglie sta migliorando da alcuni mesi e questo permette alle banche di concedere nuovi prestiti sia ai clienti che hanno restituito le somme dovute alla scadenza sia a quelli che li tengono ancora in sospeso e mostrano di meritare il rinnovo dei debiti scaduti perchè la loro situazione è in netto miglioramento.
Altri commentatori riprendono il vecchio aforisma sul rapporto esistente tra cliente e banca ("se mi indebito con una banca per mille euro ho un problema alla scadenza del debito; se mi indebito per cento milioni di euro, alla scadenza il problema non è mio ma della banca"). Quest'aforisma sarebbe confermato dalle informazioni disponibili secondo le quali i crediti incagliati si concentrano nelle banche italiane soprattutto sulla fascia della clientela costituita dalle grandi imprese. Sarebbe insomma confermata in Italia l'equazione che vuole credito non restituito uguale a grandi imprese indebitate, uguale a dissesto delle imprese oppure delle banche da rimediare con interventi politici.
Rimane tuttavia aperto il problema delle imprese di minori dimensioni che negli anni della prolungata crisi dell'economia italiana, gli anni dal 2005 al 2015, si sono anch'esse indebitate e hanno messo in difficoltà le banche locali (casse di risparmio, banche di credito cooperativo, banche popolari ecc.) non riuscendo le piccole imprese e con esse le famiglie d'imprenditori a pagare i debiti alla scadenza. Perché mai questi clienti delle banche locali si sono indebitati spesso pur sapendo che non sarebbero stati in grado di ripagare i debiti per la perdurante flessione delle attività produttive? Forse l'accumulo di debiti scaduti fu dovuto all'aspettativa degli imprenditori che presto o tardi la congiuntura economica avrebbe cambiato il segno passando dalla crisi alla ripresa e poi ad uno sviluppo pieno?
Queste ipotesi chiamano in causa le motivazioni, i comportamenti, le aspettative degli operatori economici, nonché l'interdipendenza che si stabilisce tra questi fattori soggettivi degli imprenditori e il contesto sociale in cui essi operano.
L'ambiente sociale, le istituzioni, la politica, tutto ciò che si muove attorno agli attori del mercato, ai lavoratori, agli industriali, ai commercianti, ai professionisti, è stato segnato in questi anni dall'impoverimento di ideali, dal degrado anche morale degli italiani. Sono venuti in primo piano e si sono diffusi, talvolta si sono affermati, la violazione delle regole della convivenza civile con la diffusione dell'evasione fiscale e contributiva; gli egoismi corporativi; la corruzione; la malavita organizzata. Questi disvalori hanno contagiato anche gli attori del
mercato. E ne è stata sospinta anche la corsa all'indebitamento dei cittadini, lo stimolo a consumare e a vivere al di sopra dei propri redditi contraendo mutui con le banche e nel peggiore dei casi diventando vittime degli usurai.
Il risanamento delle banche dai crediti incagliati perciò non è solo un problema circoscritto al sistema bancario e ai debitori. E' in prospettiva anche il problema di affermazione di una nuova etica, l'etica della responsabilità, e di rinnovamento delle istituzioni elettive e della politica.
Mariano D'Antonio, economista