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Votare il 4 marzo tenendo d'occhio il debito pubblico

Scritto da Mariano D'Antonio Il . Inserito in A gamba tesa

elezioni

La campagna elettorale che si sta chiudendo, è stata una cartina al tornasole per provare la solidità e il realismo dei programmi esposti dai leader dei tre schieramenti in campo (il centrodestra capeggiato da Berlusconi, il Movimento 5 Stelle capeggiato da Di Maio e il centrosinistra con a capo Renzi).

Un argomento in particolare è stato subissato dalla demagogia esibita in due casi su tre (nel caso del centro destra e dei pentastellati), l'argomento del bilancio pubblico, delle entrate e delle spese delle amministrazioni pubbliche. Solo il PD guidato da Renzi ha presentato un programma più realistico, quello contenuto nel manifesto intitolato "Cose fatte 100 Cose da fare", stampato e diffuso tra i cittadini in migliaia di copie. In particolare la proposta chiara ed esplicita del PD, riportata al punto n.100 del programma, dice sul debito pubblico italiano: "Vogliamo ridurre gradualmente il rapporto debito/PIL portandolo nei prossimi dieci anni dal 132% al 100%".

Si tratta di un obiettivo ambizioso per realizzare il quale sarebbe necessario che dalle urne uscisse un risultato molto favorevole al PD più che ai suoi alleati nella coalizione di centrosinistra, un risultato tale da portare al primo posto il numero dei parlamentari eletti nelle liste del PD.

Spostiamoci infatti a valutare che significa ridurre il rapporto tra il debito pubblico e il PIL (prodotto lordo interno) abbassandolo dal 132% al 100% in dieci anni. Secondo i calcoli effettuati da Luca Ricolfi della Fondazione Hume, tenendo conto che la crescita del PIL difficilmente accelererà oltre l'1,5% all'anno, la riduzione di 12 punti percentuali del rapporto debito/PIL in 10 anni costerebbe all'economia italiana ben 55 miliardi di euro ogni anno da pagare alla scadenza ai detentori di debito pubblico.

Ma perché è politicamente rilevante ridurre la dimensione del debito pubblico italiano? Non potremmo accontentarci che si stabilizzi ai quasi 2.300 miliardi di euro registrati nel 2017?

La risposta è che la riduzione del debito serve a mettere la nostra economia al riparo da manovre speculative, da decisioni che possono assumere a nostro danno quegli operatori stranieri (i fondi d'investimento) i quali detengono circa il 30% di titoli del debito pubblico italiano (più di 600 miliardi) e possono decidere di giocare al ribasso, vendendo i titoli per poi ricomprarli in seguito.

Secondo alcuni studiosi (Ricolfi in primo luogo), per sventare questo pericolo l'obiettivo da perseguire più che ridurre il debito pubblico sarebbe favorire il suo spostamento nelle mani di cittadini italiani abbassando ovvero azzerando la quota detenuta da operatori stranieri. Tuttavia ciò comporterebbe di rendere di nuovo allettante per le famiglie italiane a reddito medio-alto l'impiego del risparmio in titoli del debito pubblico. Operazione non facile, tutta da discutere.

Possiamo immaginare che cosa significhi fare, ad esempio, come i giapponesi i quali hanno sottoscritto negli anni tutto il debito pubblico del loro paese che ha toccato il 200% del PIL senza creare alcun problema. Ad esempio si potrebbero trasformare i titoli del nostro debito pubblico in titoli di proprietà degli immobili che sono nel patrimonio delle amministrazioni pubbliche italiane e sono per ora inutilizzati. La privatizzazione di questi immobili per essere credibile dovrebbe essere tuttavia accompagnata da una politica urbanistica adeguata per il controllo del territorio fuori dal vincolismo esasperato e contro l'abusivismo diffuso.

Come che sia, il debito pubblico è una questione che complica e al tempo stesso rende più semplice la scelta degli elettori chiamati alle urne il prossimo 4 marzo.

Gli italiani consapevoli del futuro del loro paese sono ancor più convinti che l'esito delle elezioni sarà osservato all'estero non solo per la collocazione dell'Italia non contesto europeo, per la scelta europeista o antieuropeista, per rimanere ancorati alla moneta unica, all'euro, oppure per abbandonarla.

L'esito elettorale guiderà anche il giudizio sull'affidabilità finanziaria del nostro paese e quindi i comportamenti degli stranieri che attualmente detengono i titoli del nostro debito pubblico.

Mariano D'Antonio, economista