Il Comune di Napoli non è in dissesto ma è in continuo declino
Tecnicamente il Comune di Napoli non è stato dichiarato in dissesto grazie alla boccata di ossigeno che ha ricevuto dal governo uscente presieduto da Gentiloni, grazie cioè al trasferimento a carico dello Stato di un debito tra i tanti che il Comune dovrebbe pagare. Non è in dissesto ma è come se lo fosse, anzi è un'istituzione che si sta contraendo lentamente, perde di giorno in giorno le funzioni che dovrebbero servire ai cittadini.
Volete i segnali di questo continuo declino del Comune di Napoli? Un segnale tra i più vistosi è la quasi scomparsa del trasporto pubblico. Ciro Maglione, l'amministratore unico dell'ANM (l'azienda napoletana della mobilità) si è dimesso agli inizi di questo mese perchè non aveva ricevuto i quattrini necessari a finanziare il piano d'investimenti predisposto per il rilancio del trasporto pubblico urbano. Un altro caso di paralisi comunale è quello del blocco dei lavori di sistemazione della via Marina. L'opera era giunta faticosamente al completamento per quasi il 70%, la ditta appaltatrice aveva pazientato da mesi per riscuotere gli stati di avanzamento dei lavori e alla fine non avendo ricevuto quanto doveva ricevere è stata costretta a licenziare la pattuglia residua di operai e tecnici. Via Marina nella parte in corso di sistemazione perciò è ancora inagibile.
Le vendite a privati di appartamenti e locali di proprietà comunale inoltre sono promesse scritte sulla carta che con ogni probabilità non si realizzeranno mai. Per quale motivo?
Prendiamo un caso tra i tanti: la vendita annunciata degli spazi e dei manufatti del Tennis Club di Napoli, attualmente occupati dall'omonimo circolo privato a cui sono stati dati in affitto dal Comune di Napoli per anni. Il Comune stima che il complesso situato a Viale Dohrn vale 23 milioni di euro. I soci del Club, almeno quelli che si sono detti disponibili a comprare, sostengono che si tratta di una somma esagerata e che il valore del tutto sarebbe di appena 7 milioni.
Pensate che comunque sia in corso una trattativa tra Comune e privati? Sbagliate. Non c'è nessuna trattativa nè per questo nè per altri casi equivalenti.
Quanto al dissesto del Comune di Napoli, la vicenda si è svolta come l'ha raccontata il prof. Orazio Abbamonte, in un articolo pubblicato dal quotidiano napoletano Roma nei giorni scorsi. Abbamonte, illustre giurista, noto studioso e professionista specializzato in diritto amministrativo, sostiene che il Comune di Napoli si trova in condizione di dissesto contabile da anni, fin dalla giunta Iervolino che ha preceduto l'attuale sindaco Luigi de Magistris (eletto al suo primo mandato nel giugno 2016). A quell'epoca le finanze comunali già non erano in grado di far fronte ai propri impegni per cui occorreva chiedere al governo la dichiarazione di dissesto. Il sindaco de Magistris per tutti questi anni ha evitato il dissesto ricorrendo ad artifici contabili su entrate e uscite del Comune. Ora, secondo Abbamonte, questi artifici non sarebbero più possibili e con ritardo il dissesto andrebbe dichiarato.
Perchè, secondo il prof. Abbamonte, de Magistris a suo tempo, cioè appena eletto sette anni fa, non ha fatto ricorso alla richiesta di dichiarare il dissesto? Secondo Abbamonte per avere de Magistris dato ascolto a cattivi consiglieri i quali gli avrebbero fatto intravedere i vincoli derivanti dal dissesto (il maggior vincolo essendo l'impossibilità di contrarre ulteriori debiti a dissesto dichiarato e concesso dal governo).
Nei fatti oltre agli artifici contabili (ad esempio, portare a residui attivi i crediti comunali non riscossi l'anno precedente oppure contabilizzare tra le entrate somme previste a seguito della ipotetica vendita di immobili) il Comune di Napoli negli anni si è ulteriormente indebitato ricorrendo alle banche e pagando sui nuovi debiti alti tassi d'interesse.
Oggi che i nodi sono venuti al pettine ed è difficile proseguire nei giochi d'equiibrio contabile, perchè il Comune ancora resiste alla dichiarazione di dissesto?
Si possono avanzare due ipotesi. La prima è che gli oppositori al dissesto esagerano gli effetti negativi che il dissesto avrebbe tanto sulla spesa sociale (come i servizi di welfare) quanto sulla condizione degli attuali dipendenti comunali (si dice, ad esempio, che dovrebbero ridursi da 18.000 a 12.000 unità ma si omette di riconoscere che nessuno sarebbe licenziato e al più qualcuno sarebbe trasferito ad altri enti pubblici).
L'altra ipotesi che spiega l'ostilità di de Magistris, dei suoi sostenitori e di tanti cittadini, alla dichiarazione di dissesto, è il danno d'immagine che ne verrebbe alla politica locale e ai napoletani che sarebbero bollati in blocco come dissipatori, parassiti, un peso morto per l'Italia che produce, risparmia e paga le tasse - insomma tutti gli argomenti di propaganda della Lega di Salvini e soci.
Quest'ipotesi non deve essere sottovalutata. Ma ad un osservatore sereno rimane un dubbio: per contrastare gli argomenti dei leghisti e il loro bieco razzismo contro i meridionali è necessario proseguire, a Napoli e in altri enti pubblici del Mezzogiorno, nell'amministrare sciattamente la cosa pubblica oppure sarebbe più efficace un'amministrazione degli enti pubblici che fosse severa, equilibrata, attenta ai benefici per i deboli e capace di evitare gli sprechi di risorse collettive?
Mariano D'Antonio, economista