Napoli è: la mostra di Francesco Clemente
La mostra personale di Francesco Clemente sarà visitabile fino al 14 Settembre presso Casamadre nel Palazzo Portanna a Napoli. L’artista propone una nuova versione della città mescolando gli elementi più iconici del territorio napoletano con una visione esotica indiana delle gouaches ottocentesche.
In questo modo si annulla la dicotomia tra l’idea di paesaggio e l’immagine pluriinterpretata. La prima si basa sull’etica di riprodurre una realtà già esistente e fortemente innestata nella menta di chi pensa alla città partenopea, l’altra invece è l’immagine volatile ed eterea che caratterizza l’imprevedibilità degli scenari napoletani.
Ogni paesaggio riproduce se stesso in duplice forma, in questo modo avremo due Castel dell’Ovo, due San Carlo, due Vesuvio. Egli sfrutta le gouches dei Fergola e li duplica all’infinito. Lo scopo principale di questa tecnica è quello di ricreare un gioco di specchi in cui si perde l’identità principale dell’immagine iniziale e si da libero sfogo alla moltitudine di altre figure possibili.
Egli ha l’obiettivo di raccontare un paesaggio spaesato, frammentario che pone in luce la fragilità e la debolezza della città, richiamando in modo critico la tradizione iconografica partenopea che vede in Napoli la dimensione di città – mondo. La rappresentazione urbana di ciò che è in costante mutamento attraverso il concetto di ripetizione declinato come differenza.
La replica infinta di immagini che emergono dal suolo oppure corrono frenetiche da una direzione all’altra oppure, ancora, cadono dal cielo vogliono simboleggiare la presunta presenza di riferimenti lontani ed oscuri nei simboli della città. La loro riscoperta attraverso iconologie lontane o passi letterari, che suggellano un complesso figurativo letterario tra sigilli esoterici e costruzioni cosmologiche.
Tutti questi simboli sono solo le metafore astratte di un tempo passato, ricordi reali di immagini remote. Napoli viene declinata come un’immensa metafora che può connettere mondi lontani ed esperienze diverse tra loro. Napoli affronta così un linguaggio pieno di elementi taciuti, sconosciuti o che non si vuole ricordare.
La città partenopea è ancora definita come la urbs bella ed antica che forse è esistita solo nelle raffigurazioni mistiche delle vedute dell’Ottocento oppure nelle riproduzioni dei copisti indiani o nelle avanguardia newyorkesi. Quella Napoli riprodotta, ancora oggi ammirata, era frutto di una fantasia o, chissà, potrà ancora essere realtà in futuro.
Napoli è l’estremizzazione di se stessa, replicata all’infinito e condannata ad assomigliarsi nel tempo fino a implodere nell’eccesso della sua identità. Intrappolata in milioni di specchi che ne danno un’immagine frammentata e soggettiva.