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"La sinistra è morta"? Riflessione su un contributo di Umberto Minopoli

Scritto da Ernesto Mostardi Il . Inserito in A gamba tesa

sinistra morta

Mi capita spesso ormai da tempo di condividere i contributi di Umberto Minopoli che sicuramente si colloca tra i pochi, in questa fase, che provano a stimolare l'asfittica discussione pubblica che i tempi, invece, richiederebbe ben vispa. Questo suo ultimo scritto però non mi convince del tutto in alcuni punti. Innanzitutto non credo che la sinistra sia morta.
Essa ha traslocato. Dai partiti storici, si è trasferita, non solo in Italia, sotto le bandiere di movimenti antisistemici. Movimenti che inglobano elementi delle vecchie piattaforme socialiste e comuniste. Mischiandoli a elementi nuovi, richiamati anche da Minopoli, secondo uno schema e una metodologia che la preziosa nostra storia nazionale - che pur bisogna ogni tanto consultare - ci consente di comprendere meglio di tanti altri concittadini europei e che ci consiglia di denominare Diciannovismo. La sinistra è morta? No, è purtroppo viva ed è al governo del nostro Paese in una alleanza che non è per niente spuria ma del tutto compatibile. Il riferimento storico appena richiamato serve giusto a far comprendere che non siamo in presenza di un semplice accordo tra guagliuni desiderosi di un giro di giostra al governo ma siamo in presenza di qualcosa di più organico e profondo. Una sintesi tra visione statalista, assistenziale ed autoritaria e un sostanziale liberismo

Con questo non intendo suggerire una loro invincibilità. In proposito, la Storia nuovamente ci incoraggia. Tentativi di riportare l'Europa a prima del Settecento e a culture oscurantiste del Medioevo, le abbiamo avute ripetutamente sin dai primi decenni dell'Ottocento (nascita della Destra storica e Congresso di Vienna). E si sono ripetuti continuamente sia durante il XIX secolo che durante il XX secolo. Ma nessuno di questi tentativi, talvolta colpevoli anche di immani tragedie, è riuscito nel suo intento. I condizionamenti che ne sono venuti sono durati brevi periodi. Poi la Storia ha ripreso il suo corso. Nonostante il fragore di ricorrenti trombe dell'apocalisse l'alleanza tra scienza e tecnica, con tutti i suoi limiti, ha continuato a produrre risultati benefici per tutti e in quasi in ogni angolo del pianeta. Sarà ancora così? E perché no? Perché mai questa sinistra e la destra sua alleata dovrebbero avere la meglio? Nessun determinismo. In nessun senso di marcia. Il punto è che questa sinistra va sconfitta. Senza nostalgie e tentennamenti. Ma per sconfiggerla bisogna saper riconoscere che è viva e si nutre di alcune profonde radici che sono state in parte anche di molti di noi.

Il secondo punto che non condivido dello scritto di Minopoli riguarda la ricostruzione storica sulla mancata evoluzione del PCI in una forza socialdemocratica come auspicata dalla componente migliorista di quel partito. Sicuramente, come dice Minopoli, la responsabilità di questo limite è riconducibile a Enrico Berlinguer che, pur avendo avviato un percorso di emancipazione del partito dall'URSS e avendo accolto la democrazia come un valore irrinunciabile e posto il problema cruciale che non c'è democrazia senza alternanza, non ha saputo andare oltre e ha spinto il PCI in una prospettiva autoreferenziale, di antisviluppo e di moralismo senza riforme, divenuto in seguito mero giustizialismo. Il problema nella analisi di Umberto riguarda il dopo Berlinguer. Lui attribuisce nuovamente a tutti i segretari che si sono succeduti gli stessi difetti senza tener conto che nel mezzo abbiamo avuto la caduta del muro di Berlino. L' acume di Minopoli, a questo punto, ha difficoltà a tener conto del fatto che quell'evento storico non tira giù solo l'esperienza del cosiddetto comunismo reale, ma si tira dietro anche le esperienze socialiste e socialdemocratiche europee.

A quel punto, la evoluzione dei comunisti italiani in senso socialdemocratico è ormai fuori tempo massimo. I comunisti italiani non possono fare altro che provare a promuovere un nuovo orizzonte politico. Occhetto e Veltroni con le loro intrinseche debolezze ci provarono. Con risultati approssimativi e senza affrontare i problemi in modo chiaro. Tuttavia, con i loro limiti si avviarono e avviarono un pezzo non trascurabile della società italiana in questa direzione.

Chiarisco un punto. Ritengo che le socialdemocrazie e le società a comunismo reale vengano messe in crisi insieme dalla globalizzazione. L'affacciarsi sulla scena mondiale di nuovi soggetti statuali in campo economico, l'avvalersi delle nuove tecnologie di comunicazione e circolazione di capitali, sul finire degli anni Ottanta, mette in crisi tutto il sistema economico, sociale, politico, che si era venuto costruendo in Europa, sia quella dell'Ovest, sia quella dell'Est, dal secondo dopoguerra in poi. Un sistema che si nutriva di un una divisione internazionale del lavoro, di un sistema mondiale di approvvigionamento energetico e di materie prime, di un sistema di scambi commerciali e di un sostanziale controllo politico mondiale di tutto questo. In ciò è il cuore della grande contraddizione del socialismo storico, ideologia europea, è sempre bene ricordarsene, che ha promosso e diffuso nella classe operaia ideali di eguaglianza in un sistema economico che si è sempre basato su una suddivisione mondiale impari di materie prime ed energetiche.

Agli inizi degli anni Novanta del Novecento il tempo storico per le famiglie del Socialismo era ormai scaduto. Ad intuirlo fu solo Arturo Parisi, Prodi e pochi altri che incominciarono a guardare al mondo anglosassone con occhi diversi. Dalle antiche famiglie politiche chi più si avvicinò a cogliere il nuovo momento storico furono Claudio Martelli e Occhetto e Veltroni. Ma nessuno di loro fu in grado di dare una nuova prospettiva e un nuovo respiro alle forze politiche italiane. Dagli anni Novanta ad oggi continua ad essere al centro della agenda politica per le forze progressiste del nostro paese il come oltrepassare le tradizioni del socialismo. Tutte, nessuna esclusa.

Certo non siamo sempre allo stesso punto. Per fortuna alla storia si è affacciato Renzi. L'unico leader che ha spinto i democratici oltre il tradizionale recinto. Questo dato ormai incancellabile fa si che nonostante la sconfitta da lui subita, le forze democratiche difficilmente potranno tornare indietro. Anche perché a dire il vero non si vede in giro nessun de Maistre, ma solo ‘guagliuni’ che scalpitano e qualche vegliardo che continua a rivangare i bei tempi andati. P.s.: stimo tanto Umberto Minopoli e in forza di questo sentimento lo invito a non mettere più nello stesso calderone Occhetto, Veltroni e D'Alema. Mi permetto di ricordargli che la storia esige decenza e rispetto delle persone.

 

Ernesto Mostardi