La debole identità dei napoletani secondo Paolo Macry
Paolo Macry, storico, napoletano di adozione, ha pubblicato un bel libro su Napoli che si consiglia soprattutto a quanti chiacchierano e scrivono sulle gazzette locali rivendicando i diritti e gli interessi sacrificati della nostra popolazione e dimenticano o tacciono sulle responsabilità della classe dirigente locale.
Macry ha intitolato il suo libro "Napoli. Nostalgia di domani" (editore il Mulino, Bologna, 2018) e già il titolo dovrebbe mettere in guardia i retori e i piagnoni che vivendo a Napoli accusano il resto d'Italia, anzi il mondo intero, di danneggiare la nostra città negandoci risorse, sostegni, collaborazione nell'intento, si dice, di favorire il Nord ricco e benestante.
Come si può avere, infatti, nostalgia di un domani (come dice Macry) quando si parla di Napoli o di qualunque altra città? La nostalgia è un rimpianto del passato che ci prende quando pensiamo alle vicende che accaddero in altri tempi, ai bei tempi che furono. Non può essere rimpianto del futuro, di ciò che non è ancora successo. A meno che non ci piace quanto è già accaduto fino ad oggi e aspettiamo il domani sperando che sia migliore del passato e del presente.
Ricorrendo al paradosso di rimpiangere ciò che non è ancora accaduto, Paolo Macry svolge la sua argomentazione tracciando una sintesi rapida quanto efficace delle vicende di Napoli nel corso della storia, dalle sue origini ai giorni nostri. E si sofferma nelle ultime pagine del libro sull'identità debole della nostra popolazione, sulle cause per cui la coscienza collettiva di noi napoletani ha avuto nel tempo e ha tuttora radici fragili.
Si può dire, come dice l'autore, che la debole identità dei napoletani a prima vista è dovuta a chi ha prodotto la cultura della comunità locale, al ceto degli intellettuali. Ma questo ceto, gli studiosi che maturavano le loro idee e quando potevano cercavano di trasmetterle ai concittadini, erano circondati da una popolazione afflitta dalla miseria, dalla mancanza di risorse vitali, povera, denutrita, analfabeta. I messaggi che questa plebe era in grado di ricevere e fare propri, furono la rivendicazione delle proprie necessità di vita e la contrapposizione ai ricchi, più quelli che vivevano meglio altrove, in altre regioni, e meno i ricchi di casa nostra.
L'identità del nostro popolo fu però appannata sopratutto dal malgoverno, da coloro che ebbero il potere nei secoli (gli aristocratici e i borghesi, pochi dei quali si diedero a costruire imprese). A loro volta i potenti quando s'imbattevano negli ostacoli di una società locale povera e stagnante invocavano la cattiva sorte, la fatalità e aggredivano i pochi osservatori onesti che denunciavano lo stato di cose esistenti.
Paolo Macry con questo libro ha proseguito nel degno lavoro di studioso nella scia del suo maestro Pasquale Villani, uno storico apprezzato perchè serio, onesto, schivo, mai portato ad esibirsi nè a comandare su cattedre e su una folla di adepti da promuovere nell'accademia.