Rischio Vesuvio, che cosa ne rimane?
“Il Vesuvio erutterà, è sicuro perché è un vulcano attivo, anche se dormiente; ma non si può prevedere quando accadrà e visto che ci sono abitazioni nell’area sino ai piedi del vulcano, gli italiani devono discuterne e preparare un piano per gestire la situazione”.
A dirlo con “lapidaria” certezza fu un vulcanologo giapponese, Nakada Setsuya, considerato fra i massimi esperti del mondo anche di terremoti, sottolineando che può capitare che l’eruzione avvenga nell’arco di ore e non ci sia tempo per l’evacuazione, nonostante i controlli costanti a cui è sottoposto il vulcano già dal secondo dopoguerra, dopo l’ultima eruzione del 1944.
il giapponese Setsuya spiegò che “fra i segnali di una possibile eruzione c’è il rigonfiamento del vulcano, con `sbuffi´ che preannunciano l’attività del magma e il monitoraggio satellitare consente di intervenire tempestivamente ma non se l’eruzione avviene dopo poche ore, quindi il piano predisposto dalla Protezione civile che interessa i 18 Comuni abitati potrebbe non essere sufficiente”. Queste le dichiarazioni rilasciate agli inizi di settembre 2013, che fecero scalpore non tanto per il loro contenuto, oramai risaputo da anni dagli abitanti del vesuviano, quanto per l’approssimazione con cui la dichiarazione è stata resa e che nonostante tutto ha scatenato l’allarmismo incontrollato sulle pagine di tutti i giornali internazionali e sui social network.
- Gli abitanti dunque hanno la consapevolezza del rischio – nonostante continui imperterrito l’abuso edilizio su tutto il territorio limitrofo alle bocche vesuviane, alla caldera del monte Somma e persino in prossimità del Cono Centrale - perché vedono e vivono il vulcano ogni giorno e sono costantemente informati - checché se ne dica - dall’osservatorio vesuviano e dal C.N.R. che instancabilmente monitorano la situazione della vasta area alle pendici del Vesuvio. Purtroppo, la stessa consapevolezza non c’è nel distretto dei Campi Flegrei e del vulcano della Solfatara, dove maggiore pericolosità è data dal fatto che la bocca magmatica non ha mai eruttato nello stesso punto.
"Nessun allarmismo in corso, il Vesuvio non lancia al momento segnali che lascino pensare ad una imminente eruzione". A dichiararlo fu Paolo Papale, capo struttura Vulcani e dirigente di ricerca dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), in risposta alle dichiarazioni di Nakada Setsuya.
A rispondere al professore Nakada fu anche il responsabile regionale dei Verdi Francesco Emilio Borrelli, che ha raccolto l'allarme e ha denunciato la "condotta scellerata – a suo dire - della Protezione Civile nazionale che continua a dormire sogni beati rinviando di anno in anno il piano dei Campi Flegrei e non aggiornando quello del Vesuvio". Paolo Papale, d’altro canto, ha rassicurato la popolazione italiana ricordando le incessanti attività di monitoraggio e di ricerca, garantite da reti di sorveglianza – satellitare e non - di altissima qualità.
Insomma, una volta che il dott. Papale ha alleviato notevolmente le preoccupazioni in merito ai piani di gestione delle emergenze della Protezione Civile, confermando l'esistenza di piani in continuo sviluppo ed aggiornamento e di ricerche internazionali finalizzate a definire ulteriori caratteristiche degli scenari di pericolosità, ciò che rimane è un grosso punto interrogativo commisto ad una placida accettazione dell’inevitabile che prende i cittadini vesuviani.
Nessuno vuole prendere sotto gamba la situazione, nessuno vuole sottovalutare la rinomata pericolosità di un vulcano attivo ma dormiente. Tutto ciò si sa però dal 1944 ed un vulcanologo giapponese, per quanto tra i più eminenti, avrebbe fatto meglio a fare dichiarazioni più fondate su una conoscenza profonda del territorio vesuviano e delle sue problematiche geologiche. Oppure, data la scarsità di informazioni che il professore Nakada ha sul territorio, avrebbe fatto meglio a tacere, a nostro avviso.
Se i cittadini vesuviani si sono sentiti tranquillizzati dagli osservatori scientifici nostrani è proprio per la loro conoscenza approfondita della situazione che resta in piena evoluzione. Anzi, a dirla tutta, sarebbero i Campi Flegrei che in questa fase dovrebbero essere allertati e dovrebbero preoccuparsi ancor di più, ma pare che faccia più moda prendere di mira il Vesuvio e farlo uscire sulle pagini di tutte le testate mondiali.
Ciò che resta del rischio geologico vulcanico è ciò che c’è sempre stato: consapevolezza piena che la natura è bella e terribile e che noi continuiamo a pestarle i piedi nonostante tutto. Che la cura ai mali geologici della nostra terra vesuviana è solo una: fermare i continui abusi edilizi che si perpetuano senza sosta, poiché non spaventa l’esplosione in se del Vulcano più potente ed affascinante d’Europa, in quanto fa “il suo mestiere”, ma spaventano le migliaia di morti che si potrebbero verificare, oggi più del 1944 e più del famoso 79 d.c.. Perché ci siamo troppo ammassati alle pendici del gigante dormiente. Perché le istituzioni, locali specialmente, conniventi lo hanno permesso e ciò ha generato maggior sfiducia in esse e nelle loro capacità di gestire la probabile eruzione. Tutto ciò che rimane siamo noi, ed il Vesuvio, e come ci comporteremo il dì della catastrofe, quanto e se saremo umani o disumani quando e se avverrà. Ai posteri l’ardua sentenza.