“Pianeti Immaginari” di Sergio Williams
Deserti pietrificati, rocce dall’aspetto inquietante ed improbabili archi di pietra. Oasi rigogliose e laghi dai colori fluorescenti. Questi sono i paesaggi surreali di Sergio Williams, esposti nella galleria di vico Vasto a Chiaia.
La prima impressione è gradevole, ed immediatamente mi ricordano le copertine dei dischi anni ’70, quelle degli “Yes” su tutte, disegnate da Roger Dean, che anticipando di decenni scenari fantascientifici, ricreati poi al computer, dava l’illusione di atterrare su mondi fantastici. L’artista è presente, quindi vado a chiedergli se è fonte d’ispirazione, o solo una di quelle coincidenze che spesso succedono nel mondo dell’arte.
Sergio Williams, nato a Ischia nel 1946, è un artista inglese, napoletano di adozione. Parla perfettamente l’Italiano, e con un bicchiere di vino in mano, risponde alla mia domanda. Certo che conosco Roger Dean, i nostri lavori hanno qualcosa in comune, mi dice, ma la mia fonte d’ispirazione sono i paesaggi che vedevo quando vivevo in Libia, principalmente, e ci ricamavo su con la fantasia. Personaggio eclettico e simpatico, ha viaggiato molto, come me, tra Africa ed Estremo Oriente. Parliamo un po’ della Cambogia, paese che conosciamo entrambi, e tra un aneddoto e l’altro, mi parla della sua vita e della sua arte. Ha esposto in Italia, ed all’estero, in Belgio e Spagna e Germania, ma ricorda una mostra di pittura surrealista in Finlandia, dove ebbe particolare successo. I suoi paesaggi, li chiamava all’epoca, “Fantascapes”, gioco di parole da landscape, che in Inglese vuol dire appunto paesaggio. Quando cominciò a dipingere questi suoi universi fantastici, queste immagini lunari dotate di una luce così particolare da far sentire l’osservatore come un esploratore galattico, che ha appena posato il piede, unico essere umano, avvolto dal silenzio siderale, su di un mondo sconosciuto, erano gli anni ’80. La grafica digitale non esisteva ancora, o per lo meno non era di uso comune; al cinema non era ancora uscito “Avatar”, e se si voleva rappresentare degli ominidi blu, bisognava dipingergli il volto.
La serata, come spesso succede da WeSpace, non si limita alla sola esposizione dei quadri, ma comprende anche un concerto, infatti la musica che piacevolmente avvolge la moltitudine di persone che affolla le sale, è dal vivo. In fondo al “tunnel” formato dalle quattro ampie sale che compongono la galleria, si esibisce il gruppo dei Nebra. Il suono non è invasivo, permette di parlare e ascoltare quel che si dice senza dover alzare la voce; devo avvicinarmi per ascoltare meglio. I “Nebra” sono un gruppo Napoletano, attivo dal 2006, suonano un rock progressive, contaminato da sonorità etniche, provenienti da esperienze che appartengono al nostro tempo ed a svariati paesi. Il quartetto, purtroppo stasera orfano del chitarrista, Gianni Gargiulo, è composto da Aurora Pelosi, cantante, da Alfredo Manzo alla batteria e Lucio D’Arrigo al basso. Suonano brani del loro repertorio, e tratti da “Cuore Colpevole”, il loro ultimo CD, uscito nel 2018, con un’interessante copertina dedicata a Riccardo Dalisi, e contenente un “booklet” con varie testimonianze grafiche, tra le altre di Barbara Karwowska, pittrice polacca che vive a Napoli.
Scrivo per la prima volta di WeSpace, spesso definita una galleria “newyorkese”, dove con quest’aggettivo geografico si vuol dire all’avanguardia, con uno spirito da “work in progresse” perenne, dove tutto è un continuo happening e si incontrano, insieme ai numerosi frequentatori abituali, molti curiosi e soprattutto molti artisti. Parlando di WeSpace, lo spazio di un sentimento, come ama definirla, non si può prescindere dal suo fondatore, curatore e finanziatore, Willi Santangelo ( dalle cui iniziali, il nome). Amante dell’arte e delle “cose belle” in generale, stilista di calzature, ha creato questo spazio multiculturale nelle sale sottostanti il suo negozio di scarpe, che dovrebbe finanziarne in parte l’esistenza. Qui si svolgono vernissage, concerti, presentazioni di libri (chi scrive ne ha presentati due), e soprattutto è un luogo d’incontro tra persone che hanno voglia di dire qualcosa e di seguire esperienze altrui. Un posto dove si respira una salubre aria internazionale.
Da WeSpace