El Pibe de oro
Se in tutto il mondo sei conosciuto come “il ragazzo d’oro” la cosa può generare una certa confusione. Deve essere successo così, che qualche rappresentante un po’ miope della nostra burocrazia, abbia preso alla lettera questo soprannome, ed un bel giorno abbia deciso che, con un nomignolo del genere, 40 milioni di euro fossero una giusta cifra da versare alle casse del Paese che ti ha ospitato. Ecco, la storia non è andata esattamente in questo modo, ma le vicende che hanno portato il più grande giocatore di tutti i tempi a fare il gesto dell’ombrello in diretta tv sul nostro canale nazionale, non sono poi meno paradossali. Cerchiamo con calma di ricostruire questa complicata vicenda tributaria dall’inizio.
Tutto cominciò nel 1991, anno in cui il Fisco italiano fece partire una serie di notifiche destinate alla Ssc Napoli e a tre suoi tesserati: Ricardo Rogério de Brito (detto Alemao), Antônio de Oliveira Filho (anche lui meglio conosciuto con il suo soprannome, Careca) e Diego Armando Maradona. Oggetto dell’interesse dell’agenzia delle entrate sono le annualità comprese tra il 1986 e il 1990, durante le quali, secondo il fisco, la società partenopea avrebbe corrisposto ai suoi giocatori, oltre all'ingaggio su cui si applica automaticamente la trattenuta Irpef, compensi per lo sfruttamento dei diritti d'immagine attraverso società con sede all'estero che poi li "triangolavano" agli atleti. La prima controversia, nasce proprio in questa fase.
All’epoca infatti, l’amministrazione fiscale italiana non riusciva a fare questo tipo di notifiche fuori dal territorio nazionale, e, manco a dirlo, El Diego in quel periodo aveva appena lasciato lo stivale per ritornare a giocare nella sua Argentina. Per scaricarsi la coscienza il fisco ha appeso le sue cartelle all’albo pretorio di Napoli, consultabile presso il comune. Perché poi qualcuno che vive all’estero, debba periodicamente fare vista al comune di residenza di un paese che l’ha ospitato in passato per verificare se ci sono a suo nome carichi pendenti col fisco, resta un mistero. Nel frattempo invece, per chi era ancora presente nel Bel Paese, e dunque, informato sui fatti, la vicenda giudiziaria andava avanti con una prima sentenza del giudice tributario (decisione n. 3230/93) la quale, sostanzialmente, confermava le accuse del Fisco, qualificando queste operazioni alla stregua di una truffa imperniata su una "interposizione fittizia" delle società estere. Però, una volta giunti in appello – e siamo già nel 1994 – la commissione tributaria regionale ha annullato gli atti di accertamento diretti alla società, a Careca e Alemao. Per la Ctr di Napoli, infatti, l'ufficio imposte non ha fornito la prova che la triangolazione all'estero dei diritti d'immagine avesse natura e finalità elusive. In tre pagine della sentenza del '94 (la n. 126), peraltro, si parla esplicitamente della posizione di Maradona e si precisa che «i giudici penali per tutti e tre i calciatori hanno escluso che i corrispettivi versati agli sponsor fossero in realtà ulteriori retribuzioni passibili di tassazione».
La vicenda dunque si è risolta come un semplice accertamento che nel corso dei vari gradi di giudizio ha dimostrato la sostanziale correttezza dei contribuenti nei confronti dello Stato italiano. Entra però in gioco a questo punto la miopia della burocrazia nostrana. Per beneficiare infatti della sentenza di annullamento del 1994, bisognava aver presentato ricorso all’atto di notifica. Ora siccome Maradona, come già ricordato, quest’atto non l’ha mai ricevuto, non ha neanche mai presentato ricorso, non per lo meno nei tempiprestabiliti dalla legge. Ecco così che la prima notifica di accertamento riguardante un mancato pagamento della somma di 13 miliardi del vecchio conio (pari a circa 6,7 milioni di euro), seppur sostanzialmente infondata, ha proseguito il suo iter, fino ad arrivare all’applicazione del mancato pagamento o chiarimento nei tempi previsti, con conseguente applicazione di mora, per altro piuttosto pesante considerando che parliamo di una cifra che si aggira più o meno sui 3000 euro giornalieri. Dal momento dell’invio della prima notifica mai giunta a destinazione, al rientro del Pibe de Oro in Italia passano esattamente 11 anni, siamo nel 2001, quando l’ex capitano e bandiera del Napoli torna in Italia come ospite di una nota trasmissione televisiva. Ad aspettarlo c’è, neanche a dirlo, il fisco, stavolta prontissimo a notificare al calciatore il decadimento dei tempi di ricorso per l’accertamento cominciato nel 1991 e la relativa condanna al pagamento della somma iniziale aggravata dalla mora maturata in quegli undici anni.
Da allora si sono susseguite scene decisamente imbarazzanti, che hanno avuto per protagonisti Diego e il fisco, una su tutte la confisca di orecchini e orologi indossati dal talento argentino durante alcune sue visite in Italia. Arriviamo così ai giorni nostri, e alla trasmissione di Fazio in cui, alla domanda relativa alle pendenze con il fisco Maradona si sarebbe prodotto in quel famoso gesto dell’ombrello apparso decisamente poco elegante. Alla luce tuttavia dell’analisi di questo strano caso di diritto tributario la critica sollevata dall’argentino, il quale vede nei continui attacchi della, nel frattempo neo nata, Equitalia, un gesto pubblicitario teso a sfruttare la sua immagine per montar su un grande spot contro l’evasione, non sembra poi essere troppo distante dalla realtà. Dispiace infine che di questa, quantomeno, antipatica anomalia italiana, siano poco informati rappresentanti delle istituzioni come l’on. Fassina, il quale sollecitato ad esprimersi su questa vicenda non si è lesinato nel criticare gli atteggiamenti poco political correct di Diego Armando Maradona, dimenticandosi però completamente di porre un giusto accento di condanna su questo ridicolo caso messo su dalla nostra inefficiente e spesso ottusa burocrazia.