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Europee 2019. Perché non possiamo non dirci europei

Scritto da Massimo Calise Il . Inserito in A gamba tesa

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Il 26 maggio prossimo saremo chiamati ad eleggere il Parlamento Europeo. In Italia è opinione diffusa che l’Unione debba essere profondamente cambiata e solo una sparuta minoranza chiede, esplicitamente, l’uscita del nostro Paese.

Ma, attenzione, assistiamo a evidenti fenomeni di mimetismo politico e di opportunismo elettorale; per cui rischiamo di eleggere europarlamentari che, mascherati da innovatori, intendono operare una smobilitazione della UE. Tecniche di marketing occulte, tese a persuadere piuttosto che a informare, accrescono le difficoltà di una scelta elettorale responsabile.
Molti ripetono, a ragione, che i problemi e le sfide sono tali e tante che nessun paese potrebbe affrontarle da solo: pensiamo ai cambiamenti climatici, ai problemi demografici (immigrazioni comprese), alla competizione tecnologica ed economica, … .
Dobbiamo confrontarci con potenze politico/economiche come gli USA, la Russia e la Cina; ma anche con aggressive multinazionali capaci di sfuggire ai tentativi di regolamentazione di un singolo stato nazionale.
Chiediamoci, in questo contesto complesso e multipolare, quale possa essere il ruolo dell’Europa: terra di conquista economica, sovrastata tecnologicamente, alla quale imporre stili di vita e modelli culturali e di consumo oppure forte interlocutore paritario con cui confrontarsi?
Per ritrovare l’orgoglio di essere Europei è necessario essere consapevoli di una storia più che bimillenaria ricca di episodi tragici, di orrori e ingiustizie ma che, soprattutto, ha registrato progressi in ogni campo: politico e sociale, giuridico, economico, produttivo, culturale, con uno stile di vita che, altrove, è stato imposto ma anche emulato e invidiato.
Qui, rapidamente e parzialmente, possiamo solo accennare ad alcune tappe della sua storia.
Essa ha le sue radici nella antica Roma; alla caduta dell’Impero romano d’occidente sono sopravvissute città, monumenti, strade e acquedotti ma soprattutto una letteratura con la sua lingua e un fondamentale corpus giuridico. Inoltre, è rimasta, ormai affermata, la religione cristiana che ha avuto una importanza fondamentale nella storia e nella formazione dell’identità europea; ruolo riconosciuto anche da pensatori laici come Benedetto Croce.
Un importante fenomeno del cristianesimo è il monachesimo; i monasteri furono centri di cultura che, sparsi nel continente, scambiavano esperienze e saperi; non a caso San Benedetto, fondatore dell’ordine omonimo, è patrono d’Europa.
Poi con il Rinascimento, un fenomeno storico che non ha riguardato solo l’Italia, si è assistito ad una rinascita, non solo culturale e artistica, caratterizzata da un forte impulso modernizzatore: artisti, mercanti, banchieri, monaci viaggiavano e scambiavano esperienze, cultura, denaro e merci.
Le scoperte geografiche, anticipate dal piccolo Portogallo, hanno “allargato” il mondo conosciuto facendo riflettere molti studiosi sul fatto che mentre gli Europei hanno “scoperto” interi continenti, non è accaduto che, ad esempio, non sia stata la Cina a “scoprire” l’Europa; ciò, comunque la si pensi, è stato il segno di una civiltà evoluta, intraprendente e ambiziosa.
Successivamente l’illuminismo ha costituito una potente spinta progressiva che, nato e diffuso nei nostri Paesi, ha varcato i mari e “contagiato” con le sue idee altre nazioni.
Il secolo XVIII è stato contrassegnato dalla rivoluzione industriale che ha dispiegato pienamente i suoi effetti nel secolo successivo; una forte crescita industriale e tecnologica emblematicamente testimoniata dalle Esposizioni Universali; la prima a Londra nel 1851.
La Belle epoque, a cavallo fra il XIX e il XX secolo, rappresenta il “canto del cigno” del continente. In un breve periodo, dal 1914 al 1945, due guerre mondiali e sciagurate dittature fasciste in più stati hanno provocato una battuta d’arresto dell’Europa che, dovendo contare sugli USA per risollevarsi, finirà per ricoprire un ruolo secondario in un mondo bipolare.
Nel secondo dopoguerra è stata fondata la Comunità Economica Europea per garantire la pace al continente e, con essa, il benessere economico; obiettivi che, seppur non definitivamente, ha in gran parte raggiunto.
Ma oggi il contesto è profondamente mutato, è accresciuta la complessità in un mondo multipolare che ha bisogno, e noi per primi, di un Europa protagonista. Ciò sarà possibile solo se sarà unità e forte e ciò dipende, a mio avviso, dal nostro ritrovato orgoglio di essere cittadini europei per essere, senza nessuna contraddizione, orgogliosamente italiani, milanesi, romani, napoletani; ricchi di molteplici identità.
È questa la sfida che, paradossalmente, dovrebbe stare a cuore anche a coloro che si ripetono il vuoto slogan “prima gli italiani!”; da soli potremo solo divenire colonie economiche e culturali.
Ma nel momento in cui una forte maggioranza di cittadini affermerà risolutamente “noi non possiamo non dirci europei” avremo una vitale Europa dei popoli che potrà garantire, meglio e più efficacemente di quanto abbia fatto finora, pace e benessere. Solo così essa potrà essere un interlocutore autorevole delle altre realtà geopolitiche; e, come nel passato, un modello, un esempio per il mondo intero.