E se ripartissimo dal Leonardo Bianchi?
Il Leonardo Bianchi, ex manicomio, chiuso definitivamente nel 1999, è l’occasione per ragionare sul valore e sul peso della memoria di una particolare forma del patrimonio culturale in abbandono all’interno della città contemporanea.
“…La posizione ai margini della città, la natura particolarmente invalicabile del recinto, la complessità funzionale della cittadella, il rapporto con la geografia naturale, l’impianto che organizza, il rapporto tra spazi aperti e spazi chiusi, il ritmo/ripetizione degli elementi, le sequenze e le gerarchie interne, costituiscono l’identità di un’eredità.
Il Leonardo Bianchi, mastodontico complesso quasi interamente dismesso che sorge su un altopiano a Nord-Est del centro antico di Napoli, nella più vicina periferia, in un’area delimitata dall’Albergo dei Poveri, dalle pendici del parco di Capodimonte e dall’aeroporto internazionale di Capodichino, si configura come un tassello di città concluso, introverso, separato dal tessuto urbano.
L’area occupata dall’impianto originario è inscrivibile in un quadrato di 370m di lato; l’ingresso principale è posizionato sul fronte di Calata Capodichino, mentre un ingresso di servizio è collocato sul lato opposto, al livello della strada. Lo schema quadrato dell’impianto, fortemente simmetrico, era distinto in una spina centrale su cui si distribuivano i servizi comuni e due rettangoli laterali che ospitavano i padiglioni di degenza.
Simbolicamente, tale schema rappresentava un percorso “rituale”, a partire dal superamento del dislivello da Calata Capodichino, che segnala il confine tra la “città dei sani” e la “città dei folli”, il fuori e il dentro...".
Comincia così un bellissimo abstract, di un progetto sul Leonardo Bianchi presentato dall’architetto Maria Pia Amore, e facilmente ritrovabile in rete che prevede il riutilizzo di alcuni spazi per fini medico-sanitari.
È lì, in rete, che si trova qualche informazione su questo vasto complesso di edifici e giardini tornato alla cronaca in questi giorni, poiché pare, sia stato deciso un progetto per ricavarne l’ennesimo centro commerciale. Interessante e determinante, dal punto di vista giornalistico è l’ODG di Elena Coccia rivolto all’amministrazione comunale di Napoli, e approvato, per fermarne il disegno.
Era il maggio di appena un anno fa, quando su alcuni giornali comparve la notizia dell’imminente vendita di una parte del “Leonardo Bianchi”.
La Regione Campania (con delibera n.7 dell’11 gennaio 2018) ne aveva deciso la vendita dei beni immobili della struttura per quasi 200 milioni di euro, lasciando alla Asl di Napoli solo alcune parti che sarebbero state rimesse in sesto con parte del ricavato della vendita.
Il direttore del dipartimento di salute mentale della Asl Napoli 1 centro, Fedele Maurano spiegava, come riportato da Repubblica: “Il valore catastale è di 600 milioni, ne sarà venduta solo una parte per un valore che va tra i 150 e i 200 milioni di euro. È importante che finalmente venga messo a reddito un patrimonio della Asl di Napoli così rilevante, e sia destinato alla salute mentale e ad altri scopi sociali, così come prevede la legge”.
Appena due anni prima, nel 2016, si era firmato un protocollo per un museo di nuova generazione ed un polo culturale interdisciplinare.
“Un museo liquido, cioè concepito per instaurare relazioni con ogni visitatore – spiegava Isa Bocciero, docente dell’Università Suor Orsola Benincasa, la cui Unità sulle Topografie Sociali aveva promosso i seminari di studio sugli ex manicomi campani, tra cui anche il Santa Maria Maddalena di Aversa e il Vittorio Emanuele II di Nocera Inferiore , "L’intenzione è quella di una funzionalizzazione spaziale, modificabile in qualunque momento, che si curvi alle esigenze del racconto e capace di captare flussi di visitatori programmabili, non solo il turismo scolastico e culturale. Il tutto avrebbe costi bassissimi sia di realizzazione che di gestione”.
“Il futuro del Bianchi è quello del recupero della struttura e del reinserimento nel tessuto lì dove è nato – si augurava Anna Sicolo, direttrice del Polo archivistico sanitario, dal 1981 prima medico e poi responsabile del complesso e di ciò che resta - "Quale la via? Dipende dalla nostra tenuta, dalla nostra resistenza. Noi ce la mettiamo tutta e puntiamo in alto. Di certo chi amministra ha il dovere di prevenirel’ignoranza e l’abbandono. Non ci sono farmaci per guarire dall’ignoranza, ma ci sono modalità di intervento preventivo, c’è il rispetto della memoria che insegna”.
Ma cosa scegliere tra la riqualificazione degli edifici per fini medico sanitari, un museo della memoria e un centro commerciale?
Siamo in bilico tra l’ultra contemporaneo che prova a cancellare il passato e rende casermoni identici ogni città d’Europa e un conservatorismo esasperato.
In vista delle prossime elezioni regionali e comunali sarebbe bello auspicarsi che chiunque intenda candidarsi a guidare la Campania e Napoli abbia una idea di cosa farne, un progetto, qualcosa di non scellerato, che sappia mescolare esigenze economico-strutturali, memoria e sviluppo. O più semplicemente, decida quale sia, tra quelli già esistenti, il migliore.
Cosa farne di questi 80.000 metri quadrati di città?
Sarebbe bello poter stringere alleanze, e poi votare anche in virtù di questo.