Chi ama non dimentica
Alle volte nel calcio come nella vita si è colti da una strana ventata di nostalgia. Si presenta come uno strano retrogusto che accompagna le vicende presenti, si parli di successi o fallimenti. Spunta a quel punto una strana domanda retorica che nasconde in sé un interrogativo molto più profondo: nel calcio moderno esistono ancora le bandiere?
Un istante dopo che la domanda è stata posta eccoci tutti con lo sguardo rivolto alle nostre spalle, intenti ad ammirare le gesta di quegli uomini che hanno legato tutta la loro vita professionale ad una maglia. Eccoci tutti lì, fermi, a riguardare la vecchia pellicola in bianco e nero dei nostri ricordi, incapaci di trattenere una lacrima quando davanti ai nostri occhi tornano uomini come Gigi Riva, “Rombo di Tuono” come soleva chiamarlo Gianni Brera, una vita intera passata nel suo Cagliari. Lo segue, a poca distanza, Giacomo Bulgarelli con indosso quella maglia rossoblu del Bologna indossata il 19 Aprile del 1959 e tolta solo nel 1975, 392 le presenze in serie A e di mezzo uno scudetto nel ’64. E poi ancora Boniperti con la sua maglia bianconera, lo zio Bergomi in epoca più recente per i nerazzurri, e così via, la lista è lunga, e potrebbe tenerci incollati allo schermo della memoria per giorni.
In un calcio, come quello moderno, dominato dagli interessi economici, la fedeltà è una merce così rara che la sua vista non può che commuoverci. Niente di strano dunque se, guardando un uomo come Francesco Totti che, a trentasette anni, trascina ancora la sua Roma, qualcuno sentisse risuonare dentro di sé una frase che potrebbe suonare molto simile a quella del poeta fiorentino “E se non piangi, di che pianger suoli?”.
Ma cosa si sta davvero perdendo assieme alle bandiere? Quale parte del calcio si porta via la loro quasi totale assenza? Probabilmente a lasciarci è la parte più bella di questo gioco, quella dei Valori, quella che da sempre rappresenta il vero senso dell’esperienza pedagogica dello sport.
Non può a questo punto non venirci alla mente, come esempio, l’attuale situazione del nostro, pare ancora per poco, capitano: Paolo Cannavaro. Cresciuto nelle giovanili azzurre sin da quando era poco più di un bambino, si è allontanato a soli 17 anni, destinazione Parma, dove già un altro pezzo di cuore azzurro, il fratello Fabio, militava da qualche anno. Esiliato prima, e richiamato pochi anni dopo, quando la squadra a seguito del fallimento annaspava per ritrovare la massima serie, non ha esitato ad abbandonare i ducali e la serie A per ritornare nella sua Napoli. Con lui al centro della difesa si sono scritte alcune delle pagine più belle della storia recente del nostro club, dalle notti europee alla vittoria della Coppa Italia. Oggi tuttavia è sempre di più ai margini di un progetto societario che non sembra avere troppa considerazione per la fedeltà. Proclami del Patron azzurro a parte, è evidente che con una situazione contrattuale decisamente penalizzante e una, a dir poco, scarsa fiducia proveniente dalla nuova direzione tecnica, si stia puntando a forzare la mano per un addio che, spontaneamente, Paolo non avrebbe mai accettato. Il presidente azzurro sta cercando così un modo sottile per liberarsi di un giocatore probabilmente non più all’altezza delle aspettative tecniche di questo nuovo Napoli. Se poi questa valutazione sia corretta o meno, non è il punto essenziale di questa riflessione.
Quel che davvero ci si chiede quando si è davanti ad una situazione simile è che fine abbia fatto in questo mondo un sentimento così nobile come la Riconoscenza. Probabilmente lo si è perduto tra le colonne dei conti che compongono i libri contabili di una società, si deve essere smarrito in quello spazio vuoto tra la voce costi e quella guadagni dei calcoli della Filmauro. E forse gli unici che ancora possono ritrovarlo, perso com’è, tra quel mare di mute cifre sono i tifosi. “Chi ama non dimentica” recita un famoso slogan dei supporter partenopei. E che a Gennaio il capitano azzurro lasci, o meno, la sua Napoli, questi suoi ultimi sette anni di sudore, di impegno, di emozione, di paura e di gioia hanno meritato senza dubbio la conquista dell’amore dei suoi tifosi. Perché sarà pur vero che oggi quel calcio delle bandiere, quello della fedeltà e della riconoscenza, non vive che nello spazio degli spalti, esiliato com’è dal campo e dalle sedi legali delle società, ma per lo meno lì, in quella che è diventata una strana riserva ideale dello sport, si può ancora essere sicuri che dopo una vita spesa all’ombra di un solo colore non si verrà mai dimenticati.