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Campania segreta: Polla

Scritto da Luca Murolo Il . Inserito in Napoli IN & OUT

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All’estremo sud della Campania, sorge la cittadina di Polla. Sormonta una lieve altura a ridosso dei Monti Alburni e si affaccia sul fiume Tanagro. Con poco più di 5000 anime, è il secondo centro della zona dopo Sala Consilina. Appena sfiorata dal turismo, più interessato alla vicina certosa di Padula e alle Grotte di Pertosa, conserva un aspetto intatto e genuino, che si rispecchia nella gentilezza degli abitanti.

 

 Un tempo veniva chiamata Petelia, e definita Metropoli Lucana da Strabone, il noto storico e geografo del I sec. a. C., e pare che debba il suo nome alle antichissime origini Osco-Sannite, all’unione delle parole, in questa lingua, “peth”, città, casa, e “helion”, sole, che è ancora oggi presente nello stemma della città. La storia di Polla affonda nelle origini dei tempi, e diventa davvero difficile risalire ai suoi fondatori ed a una chiara etimologia del suo nome, come scrive lo storico locale Vitantonio Capozzi, ma le sue radici lucane sono evidenti, come dimostrano i ritrovamenti degli scavi archeologici. Una statuina di un guerriero a cavallo e diversi ornamenti muliebri lo confermano, come il ritrovamento di una lapide in località Tempio, nelle immediate vicinanze del casello dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, situano indubbiamente qui l’antica Petelia, e non a Policastro, come furono tratti in inganno alcuni studiosi.

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 Come in tutta la regione, qui fiorirono le colonie della Magna Grecia, ed è logico pensare che i primi abitatori furono gli Enotri, poi spodestati dai Lucani, esperti guerrieri, che arrivarono anche a disturbare le colonie costiere. Dopo l’avvento dei Romani, vi fu una sorta di alleanza di convenienza per fronteggiare la Lega Sannita, che si spingeva sempre più a sud.

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 La città venne distrutta dai Cartaginesi nel III secolo a. C., ma non fu mai Romana nel suo intimo, quindi subì la politica di questi ultimi, che non amavano dare troppa indipendenza ai popoli sottomessi, ed il territorio fu diviso tra vari, ampie ville patrizie con grandi possedimenti, veri latifondi, e fu adottato il sistema della monocoltura, che a lungo andare impoverì la terra. È stata ritrovata una lapide, chiamata “Elogium”, che cita e glorifica la fuga degli schiavi in Sicilia.

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 Oggi entrando in città, la prima cosa che si nota è l’Ospedale, dislocato in una bella palazzina gialla, ed alcune ville monumentali, poi si attraversa il Tanagro, e c’è il monumento ai caduti, ma soprattutto, si resta affascinati per i bei palazzi e le arcate, sormontate da una torre, che si ergono come un paese verticale.

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 Il centro storico infatti si inerpica sulla collina del Clibano, cosiddetta per l’antica presenza dei “clibi”, inghiottitoi naturali, che una volta fungevano da sversatoi per l’acqua del fiume, ed è un intrico di affascinanti vicoletti, su cui si affacciano palazzi monumentali, e si aprono insospettati slarghi, vere e proprie piccole piazze. In una c’è una bizzarra fontana, ove l’acqua scorre sulle rocce, poi si nota un’altra fonte, con una lapide marmorea che sovrasta i tre getti, e ci informa che si tratta dell’Acquedotto di Santantuono.

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È in un pomeriggio di questo torrido giugno che arriviamo in paese, sembra tutto chiuso, come se la calura avesse avuto la meglio su qualsiasi forma di vita, poi la cordialità degli abitanti ci porta in una trattoria, e verifichiamo cosa ci era stato detto da amici di origine autoctona. A Polla si mangia bene.