E Garibaldi entrò a Napoli (seconda parte)
Dopo aver percorso la via della Marina e ricevuto dalla sentinella del Carmine il saluto militare, Garibaldi arrivò al Palazzo del Forestiero più di un'ora dopo, perché gli fu impedito di montare a cavallo.
E dovette percorrere il lungo cammino in carrozza, a passo lento, non potendo i cavalli aprirsi che a stento la via. Nella sua carrozza non vi erano né Cosenz -che era partito prima- né il sindaco di Napoli (che disparve) e neppure Romano, perché la folla lo aveva separato da Garibaldi. Vi montò invece Demetrio Salazaro, che faceva sventolare un bandierone, lo stesso preparato per i funerali di Guglielmo Pepe. Garibaldi baciò la bandiera, dicendo: ''Presto saranno liberati i nostri fratelli”. E montò anche il conte Giuseppe Ricciardi. Alcuni di questi particolari furono riferiti in una corrispondenza da Napoli al Journal de Débats, in data 7 settembre, pubblicata il 15 di quel mese, e in un opuscolo di Salazaro. I giornali del tempo, pare impossibile, non danno alcun particolare.
Garibaldi, in piedi nella carrozza, dominava egli solo quella fiumana di popolo frenetico. Percorrendo l'ampia contrada della Marina e del Piliero passò innanzi ai castelli e all'arsenale. Il Carmine aveva i cannoni puntati sulla via, ma i soldati presentarono le armi, e così fecero quelli della Gran Guardia. La folla aumentò al punto che la carrozza di Garibaldi si apriva faticosamente il passo fra una moltitudine fremente, che ogni tanto tentava di staccare i cavalli dal legno e sostituirvisi. E così arrivò al Palazzo del Forestiero.
Chiamato dalla folla che copriva la gran piazza, Garibaldi si affacciò al balcone di mezzo, e con la sua voce vibrante disse: “Vi ringrazio in nome di tutti gli italiani e dell'umanità intera dell'atto sublime che oggi compiete”. E riscaldandosi: “Ben a ragione avete diritto di esultare in questo giorno, in cui cessa la tirannide che vi ha gravati e comincia un'era di libertà. Io vi ringrazio di questa accoglienza, non per me ma in nome dell'Italia, che voi costituite nell'unità sua, mediante il vostro concorso; di che non solo l'Italia, ma tutta l'Europa deve esservi grata”. Si può immaginare che delirio di applausi suscitarono queste parole. Andando poi al duomo, il passaggio per Toledo fu un apoteosi che continuò per Foria e San Giovanni a Carbonara. Al duomo discese tra le braccia di uomini e donne che lo soffocavano con esuberanti tenerezze partenopee.
Si cantò il 'Te Deum' e i canonici, piuttosto atterriti, mostrarono a Garibaldi il tesoro di San Gennaro. Uscito dalla chiesa, volle con sé in carrozza Liborio Romano, facendolo sedere alla sua destra. Gli altri particolari di quel tragitto, sino al palazzo Angri, vennero narrati da Romano nelle sue 'Memorie', a sfogo di senile vanità. Si arrivò alle tre al Palazzo Angri, dove Garibaldi fissò la sua dimora. Montò la guardia una compagnia di guardia nazionale del primo battaglione.