Napoli e il ponte dei sospiri
Si ritorna a discutere del grande ponte, il ponte sullo Stretto di Messina. Pareva che il progetto fosse affondato una volta liquidata la società pubblica che aveva il compito di progettare il ponte e di avviarne la costruzione. Ma negli ultimi tempi il destino dell'acciaeria di Taranto, l'impianto della Mittal che sta in bilico, è stato associato al destino del ponte: perchè - si è detto - non riprendiamo il progetto del ponte che potrebbe assorbire tra i materiali necessari alla sua costruzione migliaia di tonnellate di acciaio prodotte a Taranto?
I sostenitori di questo megaprogetto che con un solo colpo risolverebbe due giganteschi problemi (la costruzione di una grande infrastruttura di trasporto, il ponte sospeso sullo Stretto, e il futuro dell'Ilva di Taranto) non si nascondono i problemi tecnici e neppure quelli giuridici da risolvere. Ma sono fiduciosi che l'Italia e il Sud in particolare abbiano l'energia sufficiente per affrontarli.
A suo tempo, cioè negli anni '90, ho partecipato ad una commissione di studio nominata dall'allora Società per il ponte sullo Stretto di Messina. Eravamo un piccolo gruppo di professori universitari, per lo più economisti provenienti da ogni città italiana, e disponevamo dei risultati di una ricerca condotta da una rinomata impresa svizzera, la quale aveva esaminato la domanda potenziale di attraversamento di persone e mezzi che si sarebbero serviti del ponte una volta costruito tra la Calabria e la Sicilia, nonchè la disponibilità di questi futuri utenti a pagare il pedaggio.
Per quanto fossero ottimistiche le previsioni sui flussi attesi di persone e di merci che si sarebbero serviti del ponte, gli incassi futuri non coprivano i costi di manutenzione del ponte sospeso tra le due sponde neppure nel caso che l'operazione fosse in buona misura finanziata con i fondi dello Stato e delle Regioni di Calabria e Sicilia nella fase d'impianto.
In seguito il progetto del ponte è naufragato e la società pubblica incaricata di studiarne la realizzazione è stata messa in liquidazione. Tuttavia ad ogni tornante affrontato in salita dalla finanza statale, ad ogni incidente catastrofico che colpisce il territorio del Mezzogiorno, si ritorna a parlare del ponte, del suo progetto, al quale è affidato di volta in volta il potere taumaturgico di risolvere una situazione, anzi più situazioni critiche che emergono nel Mezzogiorno, ora nella siderurgia, oppure nello sbocco della produzione agricola locale, nella disoccupazione precaria vuoi dei forestali oppure dei neolaureati.
Il ponte sullo stretto è considerato insomma come un balsamo appropriato e risolutivo dei malanni di noi meridionali.