Il Carnevale settimanale
Da qualche mese, complice anche un pizzico d’invidia per i risultati sportivi ottenuti negli anni recenti, si è diffusa sugli spalti di tutta Italia la tendenza a prendere particolarmente di mira i tifosi partenopei con una serie di cori, poco lusinghieri. Come già ricordato in un recente articolo, non vi è in realtà in questo tipo di manifestazione nessuna novità, essendo questo tipo di cori una manifestazione del tifo italico da sempre legata al mondo del pallone e non solo.
Il vero elemento di novità che ha portato la mancanza di bon ton degli spalti nostrani all’attenzione dell’opinione pubblica è stato il circo mediatico montato dalla Federcalcio e dalle televisioni. Alla prima è da imputare la creazione di quell’odiosa norma dal sapore moralistico che è la cosiddetta “Discriminazione Territoriale”, la quale prevede sanzioni punitive di natura pecuniaria ed esclusiva, per le società ed i relativi tifosi che durante la partita intonino cori improntati allo sfottò offensivo nei riguardi degli avversari provenienti da regioni o comuni differenti. Naturalmente gli organi d’informazione, sempre alla ricerca di una tematica di discussione su cui creare una polemica, si sono rapidamente adeguati, non mancando dall’ingresso di questa norma di sottolineare ogni singola parola offensiva, o presunta tale, pronunciata da qual si voglia curva lungo lo stivale. Il risultato è stata la nascita di una crociata all’insegna dell’ipocrisia morale, che sta cercando di trasformare gli stadi italiani nel tempio del buonismo nostrano.
L’ultimo episodio in ordine di tempo è avvenuto domenica scorsa durante il match di campionato disputato presso lo Juventus Stadium fra Juve e Udinese. Lo stadio torinese, impossibilitato ad aprire le curve ai suoi abituali tifosi a seguito della chiusura delle stesse rimediata all’indomani dei rinnovati cori contro i napoletani durante l’ultima sfida casalinga che vedeva ospiti proprio i partenopei, ha chiesto e ottenuto dalla Federazione il permesso di ospitare nei settori colpiti dalla sanzione circa 12.000 bambini. La speranza era quella di inscenare un grande spot in favore di questa lotta, con i piccoli tifosi nel ruolo del simbolo della purezza e dell’innocenza che trionfa sugli scurrili e maleducati adulti abitualmente possessori delle curve. Ecco a questo punto partire la stampa, subito pronta a rivestire quest’operazione del buonismo più scontato, con i suoi slogan posticci, della serie: “I grandi devono imparare dai piccoli”, subito messi al servizio della causa.
Peccato che il maldestro tentativo di strumentalizzazione dei dodicimila bambini di Torino si sia miseramente infranto al primo rinvio del portiere friulano Zeljko Brkic, con il calcio del pallone che è stato sonoramente accompagnato da quelle piccole voci acute pronte a intonare quel classico coro da stadio che recita: “Ooooooh… Me**a”. Ed ecco allora i sorrisi buonisti tirarsi sempre di più nel corso dei novanta minuti in cui il coro ha continuato a ripetersi, fino a trasformarsi in delle smorfie amareggiate, pronte a dar voce all’ennesimo grido di disperata impotenza di fronte ad un crollo dell’etica a dir loro oramai imperante. E poi giù a intonare processi, ad una classe che non sa più insegnare nulla ai propri figli, alla grettezza che queste povere spugne innocenti hanno assorbito dai loro papà violenti, all’inadeguatezza degli educatori distratti presenti nel ruolo di accompagnatori. Il tutto accompagnato da un sentimento d’impotenza dinnanzi ad uno stadio pronto a rivendicare una volta di più il suo ruolo di piazza carnascialesca in netta antitesi con quella strana cattedrale del “ben agire” in cui le istituzioni lo vorrebbero trasformare.
Il motivo dell’ennesimo fallimento di quest’operazione, ben lungi dall’essere conclusa, va ricercato in effetti proprio all’interno di questo filone culturale sotterraneo. Quello che le istituzioni, e buona parte del mondo delle comunicazioni, sembrano non capire, è che lo spazio della partita calcistica con il suo tifo esuberante e sbracato, è l’ultimo erede di una tradizione italiana che affonda le sue origini fin nel Medioevo, e ancor prima se si pensa alle antesterie greche e ai saturnali romani. Con la loro funzione di momenti catartici di provvisoria sospensione delle regole sociali, queste occasioni sono le dirette progenitrici di tutto lo spirito comico e beffardo per cui l’Italia è giustamente famosa nel mondo. In questa realtà moderna sempre più piena di codici comportamentali vincolanti, e sempre più gravata dal peso di uno stress legato al cambiamento dei ritmi produttivi, la parentesi carnevalesca settimanale, oggi incarnatasi nella partita di calcio, rappresenta un salutare scarico di tensione repressa. L’uso in questo contesto di vocaboli generalmente giudicati inaccettabili diventa dunque legittimo, e non bisogna tornare troppo indietro nel tempo per ricordare le parole del comico Daniele Luttazzi il quale pochi anni fa dichiarò che “La satira ha nella MERDA la sua pietra filosofale”. Vi sono sempre stati naturalmente, anche nelle manifestazioni di tipo carnascialesco delle limitazioni. La violenza ad esempio è anche in questo contesto un comportamento giudicato inaccettabile, e ove mai si palesi va giustamente condannato. Questa precisazione è d’obbligo per tutti quei miopi moralisti i quali vedono in questi momenti di goliardica sospensione del buon costume un apertura a dei momenti puramente anarchici volti a minacciare l’ordine costituito.
Siamo abbastanza certi che i dodicimila bambini torinesi e i milioni di tifosi presenti nel nostro paese non si rivolgano normalmente ai propri insegnanti o colleghi apostrofandoli con parolacce, né che meditino di dar realmente fuoco a certe città come altri cori suggeriscono. Tuttavia, hanno deciso di adibire uno spazio temporale e spaziale - che coincide con lo stadio durante una partita di calcio - per dar sfogo al loro spirito beffardo e canzonatorio. La speranza, già espressa per altro in interventi precedenti, è che il prima possibile anche le istituzioni riconoscano questo stato di cose, restituendo così all’evento sportivo la sua accezione di momento di festa leggera, e destinino invece, la loro attenzione censuratoria, su palcoscenici decisamente più consoni della vita civile, partendo dalle tribune politiche, fino ad arrivare agli eventi minori della vita pubblica i quali spesso e volentieri possono sfoggiare un esempio di decadimento morale ben più serio e preoccupante.