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Coronavirus. I vecchi e giovani

Scritto da Francesco Donato Perillo Il . Inserito in A gamba tesa

coronavirus vecchi e giovani

Coronavirus, ignobile portatore di corona al pari di Erode, sta compiendo la sua strage degli innocenti, decimando una generazione di anziani, quelli che hanno ricostruito il paese, mattone su mattone.

È l'Erode degli anziani che vuole distruggere la memoria collettiva. Lo ha ricordato il Presidente Mattarella: nonni, padri, zii d'Italia che cadono senza far rumore, come foglie d'autunno. Forse nei silenti condomini delle città Sud non lo percepiamo abbastanza, ma basterebbe affacciarsi in un ospedale, o vivere in uno dei tanti nostri piccoli e remoti paeselli della provincia, per rendercene conto. Se vanno scomparendo soprattutto nelle nebbie del nord, senza salutare, senza una parola, un funerale, quasi levando il disturbo.

Questi morti sono l'immagine di una pagina girata da un vento improvviso, e ne appare ora una bianca tutta da scrivere, non sapendo da quale parola poter cominciare. Forse dalla parola normalità? Sapendo però di non volere quella di prima. Solidarietà? Sapendo che nelle pagine già scritte è stata tradita da troppi egoismi. Responsabilità? Sapendo però che raramente ha significato caricarsi un peso sulle proprie spalle. In questo definitivo trapasso del Novecento troppe parole hanno perso di significato.

Agli inizi del secolo di cui il virus attenta alla nostra memoria, Pirandello ci narra dei "vecchi e i giovani" nel fallimento collettivo nei luoghi arretrati della Sicilia degli ideali dell'Unità d'Italia: vecchi che non hanno saputo passare ai giovani gli ideali per cui si erano battuti. Quanti di quelli che oggi hanno chiuso gli occhi hanno visto il fallimento dei propri sogni in una realtà impastata di corruzione, scandali, miopia? Quanti di quelli che, usciti dalla guerra, hanno riavviato le fabbriche, costruito splendide automobili, incredibili autostrade, hanno avvertito amarezza davanti al perdersi nel nichilismo troppa parte della generazione dei figli e ancor peggio dei nipoti?

Difficile farlo capire a molti dei nostri ragazzi che oggi scalpitano per uscire di casa, insofferenti ai divieti. Quelli che sono cresciuti ottenendo tutto senza sacrificio. Quelli il cui unico scopo di vita fino a ieri era uscire di notte e poltrire di giorno. Quelli annegati in chat permanenti, nell’alcol delle movide ai baretti, nelle discoteche, nella corsa all'ultimo modello di smartphone. Quelli che spacciano tutto questo per libertà. Cosa hanno insegnato loro Chiara Ferragni, Sfera ebbasta, o il rap di turno? Quale voce autorevole e alternativa hanno potuto ascoltare? Kennedy, il Papa, Martin Luther King, Che Guevara?

Dio è morto, cantavano i Nomadi 50 anni fa, ed è morto ancora oggi nei falsi miti che hanno contagiato troppi ragazzi peggio di un virus.
Ragazzi siamo stati tutti, è chiaro. Ma vi sono ragazzi e ragazzi. Vi sono anche volontari nelle onlus, impegnati negli studi, angeli della strada, ragazzi che lavorano a nero per aiutare la famiglia, giovani ancora capaci di sognare il proprio futuro. Ma non hanno padrini e nessuno li canta. Quelli che prevalgono sono gli altri, gli omologati, che impongono i loro modelli e i loro falsi idoli bugiardi.

Questa improvvisa sospensione della vita li coglie incapaci di vedere il mondo oltre il proprio piccolo malessere, e sentire dentro il senso di una coscienza sociale. Prigionieri del proprio recinto mentale, non della casa da cui oggi gli si dice di non uscire.

Non è colpa loro. La principale colpa è proprio di quel modello di società che il virus oggi sta mettendo in crisi.
Sono un bacchettone, sono un vecchio, di quelli più a rischio di coronavirus, e me ne vanto.