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Fase 2: ecco perché potremmo non aver affatto voglia di uscire di casa

Scritto da Matteo Zapelli Il . Inserito in A gamba tesa

Sindrome della capanna

La chiamano la “sindrome della capanna”: le persone che hanno vissuto sotto stress, ma che hanno gestito bene il confinamento, con il tempo per loro stessi, i loro cari e i loro hobby e a cui il ritorno alla normalità genera molto più stress. Abbiamo superato il tanto atteso 4 maggio e si allenta il lockdown anche se, lo ribadiamo, non è un “libera tutti”.

 

Riprendono alcune attività, si può fare attività all’aria aperta e visitare i “congiunti” ma c’è chi, proprio ora, si tira indietro per paura o perché ormai si è adattato a nuovi ritmi. Abbiamo atteso a lungo la possibilità di tornare ad una parvenza di normalità e quando questa si inizia ad intravedere c’è chi scappa. Non è qualcosa di particolarmente strano, in realtà, è del tutto normale.

Dopo mesi di quarantena c’è chi vive l’ansia di riprendere i ritmi precedenti, la paura di uscire e, magari, c’è anche chi ha scoperto che la vita in casa non è poi tanto male come si pensava all’inizio. Insomma il ritorno alla normalità non è da tutti gradito, in particolare per la pressione di dover nuovamente lanciarsi nel mondo e riprendere il solito tran tran. Le nostre case, in questo periodo, sono diventate un rifugio, ci hanno tenuto al sicuro dal coronavirus ma anche lontani dal mondo, la cui routine spesso ci stressa.

La quarantena ha permesso alle persone di avere maggior tempo per se stesse, i loro cari e i loro hobby, ed è anche per questo che ora possono essere riluttanti a tornare alla frenetica vita precedente. E poi c’è anche chi, mal volentieri, si è abituato alla nuova routine e a ritmi differenti, da cui ora, ugualmente, ha paura di allontanarsi. L’isolamento è spiacevole ma i nostri meccanismi di sopravvivenza ci hanno permesso di contrastare quel sentimento e di adattarci al confinamento.

In questo caso si parla di “sindrome della capanna” (o del prigioniero, se preferite). Con questi termini si intende l’evitare il contatto con l’esterno dopo un lungo isolamento, come appunto quello sperimentato in occasione della diffusione del coronavirus. Il termine “sindrome della capanna” è stato coniato in quelle regioni degli Stati Uniti in cui il rigido inverno costringe gli abitanti ad una sorta di “letargo”.

Sebbene ci si aspetti che queste posizioni di resistenza interna siano in minoranza, sorge un dilemma: se nessuno uscisse e scegliesse di vivere in modo diverso, i consumi calerebbero e l’economia ristagnerebbe. Come rendere la ruota economica compatibile con una vita meno consumistica? Non sembra che dobbiamo preoccuparci di questo. Come sottolinea l’economista José Carlos Díez, ci sono precedenti:

“È successo a New York dopo l’11 settembre. Nelle prossime settimane ci saranno molte persone che non usciranno e smetteranno di avere paura solo quando i morti a causa del virus scenderanno e i media smetteranno di parlare della pandemia a tutte le ore. Ci vorrà del tempo”.
Importante comunque è affrontare le proprie paure e, se si ritiene necessario, contattare un professionista che fornirà gli strumenti utili per trasformarle in alleate e poter così superarle.