S.O.S. turismo in alto mare
Se dovessimo stilare una speciale classifica fra i settori dell'economia più colpiti dall'emergenza corona virus, fra i primi posti primeggerebbe purtroppo l'intera filiera del turismo, in Italia ed in particolar modo al Sud, dove il fenomeno negli ultimi anni ha raggiunto numeri importanti ed una crescita esponenziale.
Il settore è stato certamente il primo a dover chiudere i battenti e sarà sicuramente l'ultimo a vedere una reale ripresa ed una normalizzazione delle attività dopo l'emergenza sanitaria. Le politiche del Governo a sostegno del settore spesso latitano, oppure sono estremamente frammentate e complesse. Spesso, nel turismo, così come per altri settori economici, in questi mesi abbiamo assistito ad illogiche discriminazioni ed esclusioni fra diverse categorie e tipologie di lavoratori, anche se operanti nei medesimi campi e svolgenti le stesse mansioni.
Ciò a volte è dovuto semplicemente ad una questione culturale, dove è difficile riconoscere ed inquadrare alcune nuove forme di lavoro non tradizionali, ma ancor più spesso, come è nel caso del turismo, il settore è estremamente variegato e frastagliato e la libera iniziativa dei privati imprenditori, vero motore e volano di sviluppo del settore, è difficilmente catalogabile in schemi e categorie predefinite. Ad ogni modo, in qualsiasi forma lo si possa inquadrare, il comparto turismo nel suo insieme, rappresenta una fetta importantissima dell'intera economia nazionale, ancor più nel Sud Italia.
Tra entrate dirette ed indotto è infatti stimato che nello scorso anno (anche se sembrerebbe lo scorso secolo!) il turismo ha generato un introito complessivo per l'intera economia nazionale che si aggirerebbe intorno al 13% del PIL nazionale, con circa 40 miliardi di introiti e 4,2 milioni di occupati. Un settore economico così strategico, ma così soggetto ai flussi stagionali ed alle contingenze del periodo, specialmente in un momento di massima espansione come quello a cui abbiamo assistito negli ultimi anni ma al contempo di estrema fragilità strutturale, difficilmente uscirà indenne dalla crisi in mancanza di sostegno concreto e di politiche comuni da concordare anche a livello nazionale.
La competenza in materia di promozione del territorio e di regolamentazione delle strutture ricettive non viene spesso regolamentata dallo Stato centrale, ma anzi spetta in massima parte alle singole Regioni. E' dunque ancor più complesso poter creare un sistema unitario di tutele per tutto il settore.
Volendo focalizzare l'attenzione sulle strutture ricettive ed in particolare sui cosiddetti Bed and Breakfast, tra i boom economici di maggior successo a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni, la situazione è ancor più complessa e la crisi ancor più profonda. La legge prevede diverse forme di strutture ricettive e di ospitalità: bed and breakfast, affittacamere e case vacanze. Abbiamo "bed and breakfast" propriamente detti, i quali si caratterizzano come un lavoro occasionale o "non professionale", ove è previsto che l'attività ricettiva sia svolta nella casa di residenza del gestore, in proprio o con la famiglia. Abbiamo poi gli "affittacamere", una forma mista tra piccolo albergo e bed and breakfast propriamente detto. Abbiamo infine le case vacanze, che possono assumere l'una o l'altra forma, ma in cui si affitta non una singola stanza, ma l'intera casa.
Caratteristica discriminante (ed oggi discriminatoria) tra chi ha potuto avere una qualche forma di aiuto o sussidio è la "professionalità" dell'attività, ovvero l'apertura o meno di una partita IVA inerente alla struttura ricettiva.
Spesso non c'è alcuna distinzione di fatto tra le diverse forme attività, nè tantomeno c'è differenza sulla qualità del servizio offerto. Per un utente medio, ma anche per gli stessi operatori del settore, la confusione è massima.
Formalmente purtroppo la distinzione è molto chiara e gli effetti sono ancora più palesi: nessunissima forma di aiuto, prestito, sussidio o incentivo è stata prevista fin'ora per i bed and breakfast.
I bed and breakfast, quelli in regola ovviamente, registrati in base alle leggi regionali e le famiglie che li gestiscono, hanno pagato per ottenere le licenze, pagano le tasse e i loro redditi sono assoggettati all'Irpef. Al netto di abusivi e speculatori, queste strutture ricettive sono state per anni l’unica fonte di reddito per migliaia di famiglie napoletane e campane, che spesso con lavoro e passione hanno dato nuovo splendore e visibilità internazionale ad intere aree di Napoli e dell'intera regione, che sono letteralmente rinate. Il settore del turistico e dell'ospitalità, in particolare nel comparto extra alberghiero stava vivendo una crescita esponenziale prima dell’emergenza sanitaria e molte di queste famiglie che si erano messe in gioco e che avevano anche investito ingenti somme, oggi non possono accedere ad alcun reddito, neppure a quello di emergenza, perché non sarebbero soggetti incapienti, poichè "beffati" da un reddito dello scorso anno, peraltro anche già anche tassato. Chi svolgeva invece indisturbato l'attività abusivamente probabilmente riceverà una qualche forma di sostegno, sicuramente non ha pagando tasse.
Si spera che al più presto che la Regione Campania ed il Governatore De Luca possano cogliere questa occasione di crisi per trasformarla in un momento di crescita. Sarebbe il momento di fornire garanzie ad un intero settore in affanno. Bisogna garantire ed armonizzare l'intero settore extra alberghiero, con controlli severi dove necessario, ma anche con aiuti e politiche di sostegno concrete ad un settore florido e vitale fino a qualche mese fa, ma al contempo strutturalmente troppo fragile per resistere da solo a questa tempesta.